CAMMINARSI DENTRO (126): Fin dove. La profondità dello sguardo.

*

Gli ultimi passi compiuti con questa Rubrica Camminarsi dentro risalgono al 13 aprile. Nel mese trascorso c’è stata la riunione d’area – l’incontro delle sedi di Exodus dell’Italia centrale (6 maggio) -, che aveva come tema importante da discutere proprio Spostare le tende, su cui si erano concentrati tutti gli Educatori d’Italia all’incontro di Sonico, tenuto dal 16 al 18 aprile. Propriamente, si trattava e si tratta ancora di decidere fin dove spostare le tende.


L’immagine della tenda nasce dall’esigenza di rappresentare concretamente la realtà dell’Educatore impegnato nel suo cammino di vita: più che un saldo edificio, ben ‘piantato’ sulla terra, si tratta di immaginare una dimora provvisoria ed esposta, come la tenda. Su di essa il professor Giuseppe Vico, fondatore ed ispiratore di Educatori senza frontiere, si è diffuso a Sonico. L’incontro si è aperto con una sua Relazione (* e **). Su di essa tutti hanno lavorato nei tre giorni di incontro. Io sto considerando l’espressione fin dove spostare le tende come questione aperta alle più diverse soluzioni: alcuni giovani Educatori partono senz’altro per le sedi all’estero. Essi sono compiutamente senza frontiere, giacché viaggiano. Essi spostano le tende nei luoghi più lontani del mondo.

Nell’incontro di svolta di Sonico del settembre 2009, don Antonio aveva raccomandato a tutti di fare il piccolo Esodo, cioè di partecipare al viaggio annuale – tra fine giugno e i primi di luglio – che si conclude con una lunga passeggiata. E’ andata così a Santiago de Compostela (2007), ad Assisi (2008), in Terra Santa (2009). Andrà così quest’anno, sulle strade di San Benedetto, da Farfa a Montecassino. Don Antonio aveva raccomandato, altresì, di fare almeno un viaggio all’estero, nelle sedi lontane della Comunità. Propriamente, sarebbe questo per lui spostare le tende. Dunque, chiedersi fin dove spostare le tende vuol dire, presumibilmente, che sia comunque possibile e auspicabile, qualora per qualche ragione io non andassi all’estero, e che sia da definire, allora, che cosa significherà per me farlo: dovrò fissare fin dove spostare le tende, quanto ‘allontanarmi’ dal tepore consueto per incontrare il mondo, da esso farmi attraversare e modificare. In qualche modo, questo spostare le tende è esempio di quel movimento verso il mondo che costituisce la terza condizione dell’educabilità.

Io credo che nel movimento verso gli altri ci sia già parecchio di questo spostare le tende. E’ mondo per me perfino il web, la relazione più ampia immaginabile, la rete delle relazioni che istituisco con persone con le quali costruisco e contribuisco a costruire una comunità crescente di parlanti, legati da affinità ideali e da una volontà di cercarsi e di ascoltarsi, laddove non sia immediatamente possibile il contatto diretto. Il rapporto ravvicinato con i ragazzi tossicodipendenti e con le loro famiglie, poi, è già dal 1989 il campo in cui sperimento la mia educabilità, cioè la possibilità sempre aperta di dialogare, il «lasciarsi attraversare da una parola altra; intrecciarsi di linguaggi, di sensi, di culture, di etiche; cammino di conversione e di comunione» di cui parla Enzo Bianchi nella sua ultima opera: «Il dialogo non ha come fine il consenso, ma un reciproco progresso, un avanzare insieme». Imparare a dialogare è per me uno degli esercizi spirituali più difficili. Il dialogo implica un’apertura al mondo senza pregiudizi, senza paura; è la capacità di spendere il proprio tempo di vita nel contatto, nello scambio, nell’incontro.

«Non c’è colloquio senza spazio e senza tempo» ha scritto Eugenio Borgna. Il colloquio si fa dialogo nel Centro di ascolto e si fa dialogo nel tempo della relazione d’aiuto. Ascolto e orientamento si danno solo nella relazione, nello strutturarsi progressivo di una relazione che per me è relazione educativa: l’esperienza dell’incontro con il ragazzo con cui entro in contatto è il farsi incontro del contatto con lui, dello scambio emotivo, del riconoscimento progressivo da parte mia della sua realtà umana, dell’invisibilità della sua esperienza; la meta ambita è l’incontro della sua esperienza con la mia. Io chiamo ‘esperienza’ l’invisibile personale, la realtà animica, la biografia personale che si rendono visibili a lui attraverso il colloquio. Lo scarto, la differenza, l’asimmetria di questo rapporto all’inizio – l’esistenza spezzata del tossicomane, la crescita interrotta – postula un cambiamento nel ragazzo che sarà facilitato dalla mia capacità di mostrare l’invisibile della mia esperienza, i modi del mio procedere, quanto di esemplare è contenuto nella mia biografia e in quella di altri che hanno battuto strade diverse dalla sua. Se mi mostro in cammino, sarà più facile suggerire un cammino, indicare la possibilità del cambiamento. Il colloquio è colloquio di motivazione, è ‘lavoro’ sulla struttura delle motivazioni personali. La motivazione ad apprendere è la premessa del cambiamento: si tratta di apprendere a vivere in modo diverso, non disfunzionale. Incidere sulle motivazioni che spingono una persona a fare una cosa piuttosto che un’altra è forse quanto di più difficile si possa immaginare: il linguaggio del cambiamento è premessa e compito perenne. Questo movimento verso l’altro è movimento verso il mondo da cui il ragazzo proviene, è contiguità con il male che è nel mondo, è lotta di liberazione morale, è giustizia. In questa parte della mia esperienza risiede la ragione più grande, la risposta più concreta alla domanda: fin dove spostare le ‘tende’?

Le mosse della ragione che guideranno i passi verso il ragazzo – tutte le idee poste alla base del Progetto educativo del Centro di ascolto e quelle che ispirano il singolo Educatore, non escluse la sua formazione e la sua sensibilità umana – saranno accompagnate dalle mie emozioni. Grazie a queste troverò le sue emozioni e la via che conduce al suo cuore. Questo post dice solo in parte ciò che solitamente accade quando io sono di fronte all’altro: la profondità dello sguardo interviene a graduare la prossimità umana, influendo sul destino della relazione. Il livello di ‘intimità’ che raggiungerò con lui non è un inconfessabile – ho raccontato altrove alcune ‘storie’ -, ma di esso è bene tacere ora, perché non avrebbe molto senso stare a riferire momenti significativi delle innumerevoli e varie storie che andrebbero raccontate, che provengono da venti anni di esperienza trascorsi a contatto con i ragazzi e con le loro famiglie. Ognuna delle persone incontrate ha lasciato una traccia profonda in me. La maggioranza di esse si è fatta biografia, esistenza compiuta, realtà umana vivente, cioè parlante, agente, paziente. Di esse un giorno racconterò la storia. Molto sarà taciuto: questo ‘silenzio’ fa parte dello stesso spirito di giustizia che mi ha spinto a distinguere esistenza da esistenza, dando ad ognuno un nome, chiamando ognuno per nome. Sarà taciuto solo l’Inconfessabile di un’anima che ha lasciato intravvedere il Segreto più grande e che, come tale, dovrà essere custodito per sempre.

Harlan Sewall

Tu non comprendesti mai, o Sconosciuto,
perché abbia ripagato
la tua devota amicizia e i tuoi servigi delicati
dapprima con ringraziamenti via via più rari,
poi col graduale sottrarmi alla tua presenza
in modo da non dover essere costretto a ringraziarti,
e poi col silenzio che seguì alla nostra
separazione estrema.
Tu avevi curato la mia anima malata. Ma per curarla
conoscesti il mio male, penetrasti il mio segreto,
ed è perciò che fuggii da te.
Perché mentre, riemergendo da un dolore del corpo,
noi baciamo in eterno le vigili mani
che ci han dato l’assenzio, pur rabbrividendo
se pensiamo all’assenzio,
la cura di un’anima è tutt’altra cosa,
perché allora vorremmo cancellar dal ricordo
le parole tenere, gli occhi indaganti,
e restare per sempre dimentichi
non tanto del dolore,
quanto della mano che lo ha risanato.

Da EDGAR LEE MASTERS, Antologia di Spoon River

Proprio perché ‘dopo’ la relazione accade quello che ‘racconta’ il poeta è opportuno limitare lo sguardo, imparare a non chiedere troppo e ad attendere e a suggerire a tutti di custodire il proprio Segreto, perché di esso è fatta la nostra libertà. Ad esso potremo sempre alludere, ma svelare, togliere il velo, mostrare ogni piega dell’anima è quel ‘troppo’ che a cui bisogna rinunciare.

*

Le basi dell’educabilità di un Educatore (in Exodus) sono tre: muovere verso se stessi, verso gli altri, verso il mondo. La condizione dell’educabilità dei ragazzi dipende interamente dalla capacità di educare se stessi.

Questa voce è stata pubblicata in Senza categoria e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.