CAMMINARSI DENTRO (128): Ciò di cui vorremmo ringraziare.

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La traccia sempre viva in me del bene ricevuto è ciò di cui vorrei ringraziare. Non si tratta mai di dire addio a ciò che ha fatto il proprio tempo, che è passato secondo la sua misura, che si è compiuto. Non è nemmeno il semplice ricordare quella ‘traccia’: è, piuttosto, un rammemorare strettamente connesso al ringraziare.

 

La memoria non è solo la capacità di rendere presente ciò che non lo è (più): essa è incontro del pensare con l’esistenza personale in ciò che essa ha di più proprio e costitutivo, cioè la memoria come capacità permanente di raccogliersi dell’animo presso ciò che ad ogni sentire si rivolge ad altro, è aperto all’altro.

Il ringraziamento proviene dall’incontro del pensiero con ciò da cui è sostenuto ma di cui non dispone, cioè il risultato di un cammino comune. L’autenticità di questo pensiero non si riassume nel semplice ringraziare. Il pensare che pensa ciò che autenticamente è da pensare è l’autentico ringraziare. Ciò che l’esistenza ha di più proprio e che costituisce la sua autenticità non è un dono, non è nel bene ricevuto, ma è il suo stare estatico nell’apertura al mondo. L’ek-stasis mondana è il sempre rinnovato sguardo che cade sulle cose – e, tra le cose, le persone – in un’apertura che non è mai dimentica della realtà di ciò che le sta di fronte: un essere – un’esistenza – che non si lascia mai cogliere per la sua semplice-presenza, ma che si dà ancora, sempre di nuovo e mutevolmente, nel suo ritrarsi, nella sua assenza.

E’ proprio dello sguardo fenomenologico seguire il profilo della cosa – in questo caso, della persona – fin dentro il cuore della cosa stessa. Il suo modo di mostrarsi è ciò che ci conduce al proprio della cosa stessa, alla sua natura, al suo nascondimento. Oltre l’apparenza sensibile, quel ritrarsi non è un precipitare nel nulla, giacché la cosa comunque si dà, si mostra. Il modo di consistere dell’altro, la sua possibilità di sussistere presso di noi dipende dalla nostra capacità di sentire l’altro, assegnandogli il giusto valore: è nell’esattezza del nostro sentire che sarà possibile cogliere l’altro nella sua presenza, a partire dalla nostra capacità di attivare gli strati profondi della nostra sensibilità, cioè di uscire dall’indifferenza per assegnare un senso all’agire dell’altro.

Ringraziare è propriamente la nostra capacità di cogliere ciò che c’è di più profondo in noi, è l’incontro con noi stessi attraverso i sentimenti di valore che ci conducono all’essenza delle cose e che favoriscono l’esatto sentire. Ringraziare è propriamente la capacità di mostrare la traccia sempre viva in noi del bene ricevuto: è questo rammemorare. E’ il tener vivo il ricordo, che non si conserva e non si trattiene per forza di inerzia, ma per il nostro raccoglimento su noi stessi in cui non cesseremo mai di incontrare noi stessi, se sapremo pensare autenticamente ciò che c’è da pensare più autenticamente.

Questo è ciò che ci aspettiamo dalle persone che abbiamo aiutato, che continuino a sentire ciò che abbiamo sentito insieme. Questo è il sentimento che ci aspettiamo provino per noi: il ricordo di aver camminato insieme, la memoria dei passi compiuti, accompagnati dal sentimento vivo di noi, che abbiamo condiviso quel camminare camminando. Quest’ultima espressione ci appartiene. Proviene, infatti, dal volume che Gabriella Ballarini e altri ragazzi hanno scritto sulla loro esperienza di Educatori senza frontiere all’estero. Dire che nel camminare abbiamo camminato è come dire che è stato un procedere, un avanzare. E verso cosa si procede insieme, se non verso una libertà sempre più piena, verso una vita sempre più autentica?

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