CAMMINARSI DENTRO (156): Una parola di troppo


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Potrà apparire perfino irritante il fatto che io parli di me qui. E che lo faccia talvolta con tanta ‘sfrontatezza’ – con la franchezza che si addice piuttosto al racconto delle cose del mondo – da risultare veridico; che ostenti la pretesa di essere creduto.

Charles Baudelaire ha raccolto in un volumetto intitolato Il mio cuore messo a nudo una storia di sé che apre con noiose riaffermazioni della volontà di dire il vero. Sa bene quanto sia difficile evitare di mascherare la rappresentazione della propria interiorità con ricordi di copertura e idealizzazioni postume. Magari, si esagererà nel calcare la mano sulle tinte fosche, per apparire più interessanti! La formula della ‘rivelazione’, poi, dovrebbe riscuotere il maggior successo. Eppure, bisogna ‘prendere la penna’ e raccontare la morte del proprio padre. E poi la morte della propria madre. Anche se non furono eventi memorabili. Peter Handke ha scritto Infelicità senza desideri. Mai fu scritto niente di più terribile e doloroso: una madre che si uccide. Ma non c’è solo l’immane da raccontare.

Un criterio di verità dovrebbe andar bene: lasciare lì tutto quello che si è scritto, anche se il tempo provvederà a smentire quanto già detto. Passare sempre a dire quello che sarà sentito come ‘più vero’. Cercare, ancora, di comprendere che cosa fare della contraddizione scoperta in sé: a cosa credere, a cosa riconoscere statuto di verità.

Più che un ‘diario in pubblico’, che richiederebbe uno sguardo orientato soprattutto verso la propria azione sociale, è interessante proporre un ‘diario delle posizioni’, come ho sempre chiamato per conto mio quanto andavo scoprendo del mondo e tutto ciò che sceglievo di considerare definitivo.

Se così è – e così mi sembra che sia sempre stato questo camminarsi dentro -, non temo di avere pronunciato una parola di troppo: sarà il tempo a fare giustizia degli eccessi, come delle manchevolezze della scrittura.

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