CAMMINARSI DENTRO (212): Nulla sappiamo

*

Sabato 23 luglio 2011

Che dici? Se ti abbraccio forte
forte, ho qualche chance in più
di scampare alla morte?

Franco Marcoaldi

Non è forse così? non cerchiamo di opporre nel tempo della virilità alla Morte la Vita? Non accatastiamo ragioni su ragioni per riempire tutti gli spazi vuoti, perché non ci siano interstizi dai quali possa insinuarsi il vento freddo che annuncia il suo passo?

Non ci accade mai all’imbrunire di sentire minacciosa la tenebra, tanto da temere quel che accade alle nostre spalle? e non ci voltiamo a volte in preda al terrore, oppressi da angor al petto, come in un assedio a cui l’anima non sa opporre argini efficaci?

Ci manca qui una cultura della Morte, la possibilità di parlarne sempre e a tutte le età della vita. Non abbiamo forse il pensiero di quel che diremo ai bambini, il giorno della morte di un nonno? e quanto più ci opprimerà il compito di dover parlare della morte di uno zio giovane da essi lungamente amato!

Sappiamo che il nostro Irrappresentabile è l’ultimo tabù della nostra civiltà. Dovremmo saperne a sufficienza. Eppure, non abbiamo già un patrimonio di idee a cui attingere, immagini da evocare, simboli a noi comuni… Del morto sappiamo ‘tutto’. E’ lì, davanti a noi. Abbiamo fatto esperienza della morte di persone a noi care. Assistiamo quotidianamente allo spettacolo delle persone, che continuano a morire. Un po’ più difficile dire cosa sia la Morte, soprattutto la nostra morte. Solo di essa occorrerebbe parlare, ma è proprio questo che è impossibile fare: di essa non faremo mai esperienza. Perciò, Heidegger prima e Sartre poi la chiamarono l’Irrappresentabile.

Mi torna sempre alla mente il ricordo di un amico siciliano, che si ritrovava come me ad insegnare in Trentino tra il 1974 e il 1976. Egli mi raccontava i costumi di Catania, a proposito del 2 novembre e dei Morti. Mi diceva che quello è un giorno di festa per loro: coincide con la nostra Befana. I Morti portano i giocattoli ai bambini. Quando me ne parlò la prima volta stentai a comprendere. Ma subito familiarizzai con un’idea che mi sembrava dolcissima. Al tempo di un esame di sua sorella, corse giù a Catania per starle vicino. Quando tornò su a Rovereto, mi confessò che la sorella aveva superato brillantemente l’esame perché suo padre l’aveva aiutata. Il padre era morto qualche anno prima. Andò a Catania con questo compito, dire alla sorella che non doveva temere, ché il loro padre l’avrebbe protetta…

A noi, forse, qui manca questa cultura: l’idea che i nostri Morti sono presso di noi. In altra forma, sono con noi ancora. Noi, invece, temiamo la Morte. Proviamo autentico terrore al pensiero della separazione. Se questo ci sembra naturale e scontato, in realtà non è così, se pensiamo che non è così dappertutto. Il nostro compito è imparare a morire e imparare a pensare la caducità di tutte le cose, perché il momento in cui dovremo separarci da esse non costituisca un’esperienza catastrofica per noi.

Non siamo sempre costretti, poi, a costruire le nostre dighe, come il Castoro industre, perché la piena dei sentimenti non ci travolga, mettendoci di fronte all’Irreparabile ogni volta di nuovo, come se fosse la prima volta?

*

ESPERIENZA DELLA MORTE

Nulla sappiamo di questo svanire
che non accade a noi. Non abbiamo ragioni
– ammirazione, odio oppure amore –
da mostrare alla morte la cui bocca una maschera

di tragico lamento stranamente sfigura.
Molte parti ha per noi ancora il mondo. Fino a quando
ci domandiamo se la nostra parte piaccia,
recita anche la morte, benché spiaccia.

Ma quando te ne andasti, un raggio di realtà
irruppe in questa scena per quel varco
che tu ti apristi: vero verde il verde,
il sole vero sole, vero il bosco.

Noi recitiamo ancora. Frasi apprese
con pena e con paura sillabando,
e qualche gesto; ma la tua esistenza,
a noi, al nostro copione sottratta,

ci assale a volte e su di noi scende come
un segno certo di quella realtà;
tanto che trascinati recitiamo
qualche istante la vita non pensando all’applauso.

*

*

 

ELIZABETH KÜBLER-ROSS, La morte e il morire, CITTADELLA EDITRICE 1988 

  

ELIZABETH KÜBLER-ROSS ci ha insegnato a considerare le cinque fasi della elaborazione del lutto

*

Questa voce è stata pubblicata in Senza categoria e contrassegnata con , . Contrassegna il permalink.