Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (283): La profondità del Volto

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Mercoledì 28 settembre 2011

Il volto è l’anima del corpo, ma non è faccia, pura esteriorità, superficie. Il volto è la profondità della faccia, è quel rinvio di cui sempre parliamo quando accenniamo all’invisibile che si mostra ma che pure subito si ritrae, si nasconde. I modi propri di quella cosa che è una persona di sottrarsi alla vista non è un eclissarsi in permanenza: non perdiamo di vista qualcosa che pure è ancora lì davanti a noi. Piuttosto, noi non riusciamo a cogliere fino in fondo, in tutta la sua estensione e in tutta la sua profondità, la realtà di ciò che ci si mostra.

Come tutto ciò che si mostra a noi il volto ha una sua profondità, una ulteriorità di senso che all’inizio non riusciamo a dire compiutamente. Non il colpo d’occhio o l’intuizione improvvisa basteranno a cogliere l’oggetto. Ma poi, si tratta di un oggetto? Se diciamo che è l’anima del corpo, se esso partecipa delle cose immateriali, si lascerà afferrare come riusciamo sempre a fare con tutto ciò che chiamiamo oggetto? D’altronde, se non si lascia afferrare è proprio perché non di un semplice oggetto si tratta, né di un oggetto semplice.

Potremmo obiettare che c’è un difetto di comprensione dalla nostra parte, che a ben guardare si può arrivare a cogliere qualcosa di ancor più essenziale, che sia rivelatrice di ciò che sta a fondo, oltre la pura superficie: magari un frammento di senso, la spia di un modo di sentire, un atteggiamento fondamentale perché ripetuto e distintivo, tra i tanti… Sicuramente, occorrerà un supplemento di ‘sguardo’, un’attenzione maggiore, un interesse, quasi una cura, per arrivare a dire che sentiamo la presenza di un volto che è questo e questo per noi. Occorrerà un sentire, più che un’intuizione e basta.

Dalla parte dell’oggetto, poi, diremo di ogni persona che possiede un volto, cioè una storia, un linguaggio, un senso. Saranno volto per noi le file di continuità istituite dall’altro per dare senso ai giorni, e se non è così parleremo di un volto senza storia, ma pur sempre volto: disorientamento, smarrimento, perplessità, insecuritas affioreranno alla superficie inequivocabilmente. Saranno volto le parole e le voci e i suoni e i discorsi e la domanda muta d’amore e tutto il resto del nostro inesausto dire. Sarà volto poi la felicità dell’opera, il sì alle cose, l’approdo alla chiarezza di sé, il consentire agli altri volti, l’attento sentire le presenze altre sulla scena del mondo.

Si richiede allora un lavoro, dalla nostra parte, teso a dare un volto alle cose, alle persone. Se c’è il rischio di chiamare profondità la grandezza di uno smarrimento in persona che invece non possieda una grande profondità di sentimento, è certo che dall’esattezza del nostro sentire dipende la possibilità di cogliere e dare senso a un volto che esprima storia, linguaggio, senso in una misura che autorizza a parlare della profondità di un volto che è sempre più che faccia, più che ‘simpatica’ espressione di sé: dal nostro sentire, cioè dalla nostra capacità di attivare gli strati profondi della nostra sensibilità, e dall’esattezza del nostro sentire, cioè dalla nostra capacità di cogliere ciò che l’altro è nella sua natura più profonda dipende la possibilità di dare un volto all’altro, cioè di riconoscere veramente ciò che egli è intimamente, ciò che propriamente, cioè essenzialmente è.

Al sentire è sempre associata, fino ad esserne costitutiva, la nostra moralità, cioè l’orientamento personale al valore. Un esatto sentire non mancherà di cogliere in un volto il personale orientamento al valore, cioè il grado della moralità personale, la qualità di valore che a sua volta l’altro saprà assegnare alle cose, alle persone.

Realizzare la profondità di un volto non è un gesto semplice: si richiede l’esperienza ripetuta del contatto emotivo con la realtà umana dell’altro; occorre percorrere i sentieri tracciati dall’anima nel tempo, per fare di una vita una biografia. Un volto chiede di essere narrato, non definito, chiuso in un concetto o, peggio ancora, in una semplice intuizione. Dire poi che si tratti dell’anima di un corpo è affermazione impegnativa, che richiede un supplemento di riflessione in più. Cosa sia corpo e quale relazione intrattenga quest’anima con il suo corpo è compito grande su cui bisognerà tornare ancora.

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