VERSO LA TERRA INCOGNITA (8): L’Aperto

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Tutte le volte che osservo i tentativi di ripristino di una comunicazione interrotta, mi ritrovo a pensare a ciò con cui sempre bisogna fare i conti: l’invisibilità dell’esperienza e il modo proprio di ritrarsi dell’anima, quando cade sotto lo sguardo dell’altro. Quanta incomprensione è destinata a produrre la realtà delle cose agli occhi di chi non riesce a vedere (e a dire chi e cosa)?

LE COSE NASCOSTE DALLA FONDAZIONE DEL MONDO

E’ quasi impossibile separare dal nostro spirito quello che non c’è. Che cosa dunque saremmo, senza l’aiuto di ciò che non esiste? Ben poca cosa, e i nostri spiriti disoccupati languirebbero, se le favole, i fraintendimenti, le astrazioni, le credenze e i mostri, le ipotesi e i sedicenti problemi della metafisica non popolassero di esseri e di immagini senza oggetti i nostri abissi e le nostre tenebre naturali. I miti sono le anime delle nostre azioni e dei nostri amori. Non possiamo agire che movendo verso un fantasma. Non possiamo amare che quello che creiamo. – PAUL VALÉRY, Cattivi pensieri

E’ proprio a partire da fraintendimenti e incomprensioni che ci ritroviamo quotidianamente impegnati a inseguire, chiarire, domandare, tradurre… Quante professioni poggiano su “ciò che non c’è”!

Nel Centro di ascolto mi ritrovo sempre interdetto a pensare come sia difficile per gli adulti comunicare efficacemente con i propri figli, perfino quando questi abbiano ritrovato la strada di casa. I lunghi silenzi e le assenze prolungate, le mancate risposte, la difficoltà di esprimere quello che si prova… Tutto concorre a generare perplessità e quell’ostinato domandare che non trova sempre risposta. Io dico spesso: non bisogna fare domande; piuttosto, si tratta di aprirsi, parlando di sé e delle proprie emozioni, dando voce all’io adulto che cerca l’io adulto del figlio. Sembra che l’unica cosa che si possa fare è chiedere. Si trascura il fatto che l’altro ha bisogno di una ‘sponda’ a cui appoggiarsi per consistere nella conversazione, se non sia stata ricostruita ancora una relazione stabile e destinata a durare. In quanto abitatori del tempo, dobbiamo fare i conti con il tempo della relazione che è fatto di aperture e di chiusure, di silenzi e di discorsi, di momenti in cui il colloquio scorre felice e di momenti in cui sembra di essere estranei e ostili, che il mondo sia estraneo e ostile. Non c’è nessuna porta da aprire. Nessun silenzio da spezzare. Abitare la distanza è il compito di sempre. E’ addirittura una sorta di moralità: una regola che riconosciamo nelle cose perché è propria del mondo della vita. I tempi della nostra coscienza dovranno incontrarsi con i tempi della coscienza dell’altro. L’altro si aprirà se noi ci apriremo. Davanti a noi c’è una porta aperta: non dobbiamo fare altro che attraversarla.

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Le basi dell’educabilità di un Educatore (in Exodus) sono tre: muovere verso se stessiverso gli altriverso il mondo. La condizione dell’educabilità dei ragazzi dipende interamente dalla capacità di educare se stessi.

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