PENSARE E SCRIVERE (5): Note senza testo. Elogio dell’infedeltà.


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L’espressione note senza testo è di Roberto Bazlen. La prenderemo in prestito per piegarla a un uso tutto nostro: all’idea che quando parliamo in pubblico e quando scriviamo è come se stessimo annotando un testo che non c’è. Anche se stiamo presentando l’opera di qualcuno – e, dunque, di un testo reale stiamo parlando! -, in realtà alludiamo a qualcosa che non coincide con quanto andiamo dicendo, che riguarda solo noi, perché nasce da noi, dalla nostra ‘lettura’ di quel testo, che sarà sempre infedele.

Dopo tutto, non potremo mai esercitare una semplice parafrasi, cioè una riscrittura di quel testo, ché si tratterà sempre – nella pratica quotidiana – di ‘tradurre‘ quanto proviene dagli altri, per potere, a nostra volta, dire. E se poi si ‘ridurrà’ a pretesto – in quanto pre-testo – il nostro dire delle cose altrui, tutto dipenderà dalla traduzione, che è solo dire quasi la stessa cosa, almeno quando siamo chiamati a ‘render conto di ciò che abbiamo ascoltato’ (mia suocera aveva l’abitudine di mettermi spesso alla prova, perché convinta che io non la ascoltassi, quando si rivolgeva a me, o che fossi distratto da cose meno importanti!).

In realtà, la traduzione è cosa seria nella vita quotidiana. Si potrebbe dire che non facciamo altro che tradurre quello che sentiamo dire dagli altri, riducendolo alla nostra ‘misura’. Se ci facciamo prendere dal compito di raccontare un’avventura recente o un semplice fatto a cui abbiamo assistito, come quando dobbiamo riferire le opinioni di un’altra persona, sempre ci ripromettiamo di essere fedeli ai ‘fatti’. Ma è veramente così?

Quando io prendo la parola, non rinuncio mai a categorizzare i fatti, a gerarchizzarli, a dare loro un ordine che si adatti alle mie esigenze – talvolta, riesco a seguire un ordine ‘cronologico’ -, ma preferisco sempre istituire nessi che rispondano ad esigenze espositive di tipo ‘didattico’.

Quando avrò detto cosa io pensi – e prima ancora cosa io abbia capito -, apparirà chiaro che sto parlando d’altro, di un di più che mi appartiene, che ‘invera’ il discorso altrui, ma necessariamente nel mio orizzonte di senso. E’ questa la ragione non ultima di tutte le incomprensioni. E’ a partire da qui che comincia la vita, cioè il gioco linguistico che ci lega e che ci scioglie, che ci fa procedere e che ci arresta. La vera comunicazione si ‘spende’ in questo commercio quotidiano sul senso che attribuiamo alle cose.

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