Le ragioni dell’amore

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Lunedì 29 gennaio 2024
Percezione Rappresentazione Giudizio

Tornare a sentire, sempre.
Se la risposta che costituisce il sentimento può essere espressa fin dalle prime battute, dai primi contatti, nella forma immediata dell’emozione e della passione, del trasporto verso i vezzi e le attrattive dell’altro, prima ancora del dispiegarsi del sentimento corrisposto, si dà percezione delle qualità di valore dell’altro.
Una coscienza trasparente, lontana da ambiguità e malafede, sarà attratta da un’esteriorità che le apparirà non disgiunta dai modi di condursi nel mondo da parte dell’altro. Esprimerà la sua predilezione per la trasparenza di una coscienza, non soggetta ad ambiguità e malafede. Allora, potremo dire che le prime percezioni non ci espongono al rischio di errore, a proposito della natura dell’altro. Se al piacere connesso a tutto ciò che è connesso alle forme aggraziate e ai modi sensuali dell’altro è ben collegato un sentire che conferma il valore personale, diremo che i primi contatti costituiscono una prima garanzia di ‘certezza’ sul valore di un’esistenza.

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Esercizi fenomenologici (92): Trucchi di radianza

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Esercizi fenomenologici (92): Trucchi di radianza
Domenica 28 gennaio 2024

Riusciremo a dire finalmente la luce che sta lì, davanti a noi, con il suo tremendo, a farci sentire piccoli, con l’oltranza della bellezza, a farci sentire vinti, mentre ad essa ci arrendiamo, ne riconosciamo il magistero di verità, ci abbandoniamo al dissennato godimento?
Chi oserà mettere in questione la luce che promana dal volto di persona che si rivolga a noi e ci parli e apra e chiuda il nostro cuore, allontanandosi distratta, inconsapevole delle nostre ragioni!
Ragionando con la stampa sul suo romanzo, “Tante piccole sedie rosse”, Edna O’Brien sembra rimproverarne la protagonista che esce infatuata dall’incontro con i modi di uno straniero venuto da lontano, che seduce tutti gli abitanti del villaggio, e che si rivelerà come un criminale di guerra. La donna «si butta» in quell’amore, «accecata» dalla luce di lui.
Non è così sempre anche per noi, che ci chiudiamo alla conoscenza delle qualità di valore di una persona, presi dalla luce, ignari dell’Ombra che pure quella presenza esprimerà?
Se amore, tuttavia, apparecchia per noi una scena allettante, inducendoci ad aprirci, non resterà cieco alla percezione delle qualità di valore di cui l’altro è portatore. Se principialmente sarà luce, non dovremo farci accecare per sempre da essa. Non solo l’Ombra dell’altro, la sua parte bassa, il negativo che è in ognuno di noi, apparirà. La stessa luce sarà sempre intensa e brillante, se non distoglieremo lo sguardo?
Se torneremo sempre ad interrogare l’esperienza, riusciremo allo stesso modo a cogliere il resto di una persona, che prima o poi mostrerà tutto di sé, addirittura lo dichiarerà a chiare lettere. Allora, si vedrà la capacità di amore di non esser cieco. Si vedrà la sua saggezza.

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Viaggio ad Aquinum con Manuela Cerqua

Si riparte! 🥾 🕵🏻🏛️

Domenica 10 settembre l’Università Popolare di Sora andrà in visita nel meraviglioso sito archeologico dell’antica Aquinum.

L’appuntamento per la partenza è alle ore 9.00 in Piazza Indipendenza, l’ingresso al sito alle ore 10.00.

Il costo del biglietto d’ingresso è di 3 euro per gli adulti (bambini e ragazzi gratis).

Aspettiamo le vostre prenotazioni in modo da poter organizzare al meglio.

È un’occasione unica…ed è solo l’inizio di un anno ricco di nuove avventure per grandi e piccini. 🍀

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https://www.facebook.com/ancientaquinum

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Martedì 22 novembre 2022

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Martedì 22 novembre 2022
AI CONFINI DELLO SGUARDO

Tornare a sentire, sempre.
Se la risposta che costituisce il sentimento può essere espressa fin dalle prime battute, dai primi contatti, nella forma immediata dell’emozione e della passione, del trasporto verso i vezzi e le attrattive dell’altro, prima ancora del dispiegarsi del sentimento corrisposto, si dà percezione delle qualità di valore dell’altro.
Una coscienza trasparente, lontana da ambiguità e malafede, sarà attratta da un’esteriorità che le apparirà non disgiunta dai modi di condursi nel mondo da parte dell’altro. Esprimerà la sua predilezione per la trasparenza di una coscienza, non soggetta ad ambiguità e malafede. Allora, potremo dire che le prime percezioni non ci espongono al rischio di errore, a proposito della natura dell’altro. Se al piacere connesso a tutto ciò che è connesso alle forme aggraziate e ai modi sensuali dell’altro è ben collegato un sentire che conferma il valore personale, diremo che i primi contatti costituiscono una prima garanzia di ‘certezza’ sul valore di un’esistenza.

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21 novembre 2022

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OGNI VOLTA DI NUOVO, LA FINE DEL MONDO. Con queste parole il filosofo Jacques Derrida ci parla della morte degli amici, ai quali dedica le sue orazioni funebri, raccolte poi in un libro che riporta quel titolo.
Non dimenticherò mai l’esperienza del lutto che dovette fare prematuramente un’alunna di Liceo con la morte del padre. All’obitorio chiesi alla madre come avesse preso la notizia la sorellina di dieci anni. La madre mi riferì: È arrabbiata con il padre. Dice che non doveva morire: “Io sono piccola ancora. Non dovevi morire!” Non era pronta. Non siamo mai pronti.
Quel che viene dopo è lutto e nostalgia. Come dice Recalcati, il lavoro del lutto mira a bonificare il campo, ad elaborare tutta l’esperienza della perdita. Quel che resta è oggetto della nostalgia, nella forma del rimpianto o della gratitudine. L’elaborazione personale può prendere diverse strade, tutte dipendenti dalla nostra capacità di elaborazione simbolica: si tratta di riscrivere la storia del mondo, decidendo di volta in volta chi puo tornare a farne parte e chi no, se ci sia posto per nuove figure nel proprio paesaggio affettivo oppure no.
Nella sua recensione del 15 novembre su Repubblica dell’opera di Massimo Recalcati, La luce delle stelle morte. Saggio su lutto e nostalgia, Rosella Postorino allude al cortometraggio “Un jour“, per dire la mancanza:
“… Così, quando un legame finisce, la nostra libido viene sequestrata dall’oggetto perduto, nel quale avevamo investito energie, aspettative, progetti, e che invece ha potuto abbandonarci. Sparendo, ha scavato un buco nel mondo, e in noi, come in quel cortometraggio di Marie Paccou, Un jour, che vidi nel 2001 e mai ho dimenticato. Un uomo entra – letteralmente – nel ventre di una donna, che lo trasporta conficcato in sé, una spada che la trafigge da parte a parte; quando lui va via, a lei resta quel buco al centro del corpo. Altri lo occuperanno, ma saranno sempre di una misura sbagliata, cioè lei sarà per sempre anche il resto di quella perdita, con la quale chiunque la avvicini entrerà in contatto”.

C’è sempre da chiedersi se l’amore poi avrà il potere di ‘colmare’ il vuoto lasciato da una perdita, se possa arrivare ad eguagliare il senso e il valore del bene perduto. Freud ha scritto che anche il lutto più grande si estingue. Si tratta di vedere cosa siamo capaci poi di fare di noi, ripartendo da quello che abbiamo lasciato che si facesse di noi. Scienza delle tracce, la psicoanalisi non ha dubbi sul fatto che il paesaggio della nostra anima non potrà mai tornare ad essere quello che era prima.
Dell’esperienza della perdita diremo che non riguarda solo il lutto, conseguente al congedo dalla vita di persona a noi cara. Anche l’abbandono assume la tonalità emotiva del lutto. Anche il venir meno della forza persuasiva di un ideale, che non trova piu riscontri significativi nella vita sociale, si tradurrà nel sentimento doloroso di un bene perduto. E che dire dei nostri amori! Delle amicizie sconfitte! Dell’altero disdegno di chi ci fa sentire inutili, non amati, non degni di essere amati, di poco peso e valore!
Dedicheremo l’intera vita a curare le ferite prodotte da tutte le perdite, consapevoli del compito che ci attende: affacciarci ancora alla vita, con la gratitudine che si richiede per il bene ricevuto. È nostro compito uscire dall’insensatezza e dal vuoto in cui ci accade di precipitare, per tornare a dare senso alle cose, alle persone, che sono l’unica via per tornare a sperare.

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20 novembre 2022

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Domenica 20 novembre 2022
Tra le situazioni da descrivere ancora, mi viene in mente oggi il silenzio che interviene nel corso di una conversazione, paragonabile all’arenarsi del pensiero, che si registra quando non si riesce a procedere. Andare avanti significa fare un altro passo nella spiegazione e nel racconto: riuscire a trovare le parole per dire ciò che ci sta a cuore di più. Cos’altro dire su questo punto se non che non abbiamo altro da dire! La verità è che mancano le parole perché mancano le cose. Oggi sappiamo che le mappe cerebrali preparano la produzione delle immagini della mente che ci aiutano a vedere. Mancano le cose, cioè non riusciamo a vedere altro. Vorremmo dire di più, ma non sappiamo cosa. Siamo impreparati. Abbandoniamo l’argomento che stiamo trattando. Consideriamo insufficienti i pensieri che abbiamo su una materia data.
Roland Barthes ha scritto che senza cultura non è possibile nemmeno essere innamorati! Eppure, c’è chi non crede al potere della parola, anzi ritiene che sia d’intralcio al sentimento, che sia ingannevole. Quanti credono che contano solo i fatti, solo i comportamenti! Come se il visibile fosse chiaro, evidente! Come se parlassero le cose per noi. Come se non si richiedesse la luce della nostra coscienza a chiarire le nostre intenzioni. Senza sentimento è possibile trovare le parole? È sicuro che il silenzio del cuore – non trovare le parole – possa essere compensato dalle emozioni che l’altro ci procura? Uno sguardo, l’intesa di un momento garantiscono la realtà, la consistenza, la durata di un sentimento?
Non riuscire a dire compiutamente di sé, non trovare le parole, non arrivare mai a sviluppare i propri pensieri costituisce una garanzia di certezza, di esattezza del sentire, di maturità affettiva, di capacità logiche sicure?
Può un ordine del cuore basarsi sul non detto delle emozioni?

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Sabato 19 novembre 2022

CUORE PENSANTE

Riferire in che modo l’espressione “cuore pensante” possa illustrare l’esistenza di ognuna delle cinque filosofe di cui parla il libro di Laura Boella non sarebbe facile.
Ci preme qui dire che questa espressione ha accompagnato lungamente la nostra riflessione, negli ultimi venti anni. Raramente intorno a noi abbiamo potuto farne esperienza. Attribuire poi la qualifica di cuore pensante a se stessi sarebbe eccessivo, ma appropriato, se si pensa ad una propensione ad intrecciare le ragioni politiche con quelle morali, l’esperienza vissuta (Erlebnis) con il cammino (Erfahrung), l’interiorità con l’azione politica, l’espressione di sé con l’esercizio pubblico della parola. Insomma, oltre ogni ‘romanticismo’ di maniera ed oltre ogni improbabile sentimentalismo, si tratta di vedere lo spazio che merita di occupare un modo di consistere mondano che non separa mai le vicissitudini private dai destini collettivi.
La lezione di Hannah, Edith, Simone, Maria ed Etty non cesserà mai di risuonare dentro di noi, continuando ad indicare la possibilità per ognuno di noi di condurre una vita che non si pieghi mai alle vili convenienze o alla clava della forza. Un esercizio di resistenza da condurre con la scrittura, con la parola, con l’azione.
Onore al loro magistero morale!
«La filosofia non è un riparo, una zona protetta dalle contraddizioni del mondo in cui viviamo e dalle nostre contraddizioni. L’eredità delle filosofe non è soltanto scritta nei loro libri, ma vive nella loro esperienza, nei loro giudizi, nelle scelte etiche, politiche e spirituali. E una finestra che si spalanca e dalla quale si guarda fuori, si immagina, si riaprono i giochi con sé stessi e con la realtà. Parlare di Hannah Arendt, Simone Weil, Edith Stein, Maria Zambrano e Etty Hillesum continua a essere per me la proposta di un incontro con donne vissute in tempi difficili, che hanno scritto, pensato e lasciato la traccia di una passione per la realtà con le guerre, l’odio, la violenza, la bellezza, le amicizie e il fondo di mistero che la caratterizzano oggi come ieri».

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18 novembre 2022

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Venerdì 18 novembre 2022

TROVARE LE PAROLE. Per dire, ad esempio, le ragioni di una bellezza.
A differenza di chi crede che la realtà sia solo ciò che si vede, assieme a tutto ciò che non si vede, oltre a tutto ciò di cui abbiamo fatto esperienza – la somma di tutte le esperienze -, c’è chi è quotidianamente impegnato a descrivere i frammenti, i barlumi, le schegge, le tessere che non trovano posto in una mappa credibile di ciò che sfugge alla vista, di cui si ha un chiaro sentore, ma che non si riesce a nominare, dunque è come se non esistesse.
Accade spesso, però, di riuscire a trovare le parole, a metterle insieme, creando le schegge vibranti di cui parlava Virginia Woolf, e arrivare a vedere, finalmente.
Chi professa la sfiducia più totale nei confronti delle parole trascura la parola, il potere che la nostra mente esprime bene quando riesce a dare voce al magma sottostante. Da quel non luogo proviene la Scrittura, come la Voce, come il Volto, come tutto ciò che ci sembra chiaramente che non possa essere prodotto dall’azione conscia della mente. Non si tratta semplicemente dell’inconscio. È implicato anch’esso, ma non solo esso. Se fosse solo opera sua, sapremmo dire bene ogni volta che ne è di noi, o riusciremmo a spiegarci l’origine se non la causa del nostro dire e del nostro fare, soprattutto delle nostre visioni, del vedere esemplare che ci permette di dare corpo al semplice percepire che non è mai un vedere e basta. Paradossalmente, è più facile vedere l’invisibile: una carezza, uno sguardo, una premura… È tutto il visibile che si para davanti ai nostri occhi che ci sfugge, che non afferriamo e non riusciamo a tradurre nell’esperienza vissuta che sola dà corpo ai fantasmi della mente.
Le nostre conversazioni, i tentativi d’accesso alla terra incognita dell’esperienza dell’altro, che non vogliamo venga ridotta al già noto, al passato, intransitabile e pregiudicato, i nostri colloqui che vorremmo d’amore, che ci permettessero di stare sulla soglia, sì, ma come chi ha il permesso di visitare la casa, anche se non ha mai varcato la soglia stessa. Noi vorremmo consistere nello spazio in cui si dà ancora ricerca inesausta di corrispondenze, di intese tacite, di volontà di non bruciare nessun istante eterno, scontando il risultato. Noi vorremmo che la scoperta dell’esistenza che esiste fosse ancora sempre territorio da esplorare, che fosse riservato alla parola il privilegio di chi sa dire in ogni momento il dove e il come e le ragioni di un interesse e di una cura che non siano ridotti a nessuna delle ragioni note.

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Giovedì 17 novembre 2022
OLTRE IL REALE C’E’ VITA
Della realtà sappiamo tutto. Essa ci avvolge, è ‘comune’ a tutti noi. Ne facciamo esperienza ininterrottamente. Facciamo i conti con il suo aspro sapore, a volte. Altra cosa è il Reale, il nostro Reale, tutto l’invisibile della nostra esperienza personale, che pure è incarnata. Paesaggio affettivo, sfondo su cui si stagliano le figure a cui diamo vita, proiettando in esse le mappe del nostro cervello e le immagini della nostra mente. Costruiamo la nostra mente, arredando la provincia che abitiamo, fatta delle cose che appartengono solo a noi: tutto il passato personale, i suoi residui a volte grandi e insopprimibili, difficili da elaborare pienamente, da sublimare, perfino da rimuovere, il nostro Irredimibile; i rimpianti, le malinconie, la nostalgia, le vane attese, le feroci illusioni; gli amori mai nati, i malnati, gli amori impossibili, quelli sbagliati; i tempi e le epoche della nostra vita, i fatti memorabili, le viltà e le miserie, l’Inconfessabile; i nostri avi, i maestri, quelli di cui ci siamo fatti eredi, la Phronesis, la saggezza personale; il vero amore, i dolci figli, la Speranza; la casa, il lavoro, le relazioni formali, gli impegni di ogni genere, di cui è piena la nostra vita.
Immaginate poi che accada qualcosa, di udire altre voci, di essere chiamati altrove, di essere improvvisamente immersi in una sorta di idillio, nel piacevole conforto di un incontro inatteso, insperato. Che si affacci a salutarci un volto, una voce, le attrattive di un’esistenza che esiste, all’apparenza leggera e accessibile allo sguardo, promettente. Senza illudersi mai, scoprire che un dialogo è possibile, consistere insieme in una regione mediana, che non trascura, non ignora, non finge di non ricordare il proprio Reale e quello di chi ci sta di fronte.
Non costituisce forse l’inciampo maggiore il suo ‘peso’, lo sfondo d’impossibile che piace tanto al desiderio, con le sue aporie irrisolte? Quante volte abbiamo creduto di poter credere e ci siamo incamminati sulla strada che non portò mai da nessuna parte, se non alla scoperta infinite volte ripetuta della consistenza del nostro Reale? Non decidemmo mai di congedarci del tutto da esso, per approdare a nuovi lidi, per realizzare un’altra vita solo sognata, magari vagheggiata lungamente, fatta di cose pure iniziate, di nuovi tempi pure vissuti, di intere epoche che non segnarono mai il distacco impossibile da esso.
Eppure, oltre il Reale c’è vita. Ci accade di oscurare, mettere in secondo piano, quasi ‘dimenticare’, fingere di non avere infanzia e storia, una vita e un amore, una casa e un lavoro, uno spazio vitale ampio e ben ‘arredato’. Ci accade di sentire che non di infedeltà si tratta né di velleitario conato verso il nuovo e l’attraente mondo precario ed effimero di ciò che non dovrebbe avere diritto di cittadinanza, ma che pure si dà, gioiosamente ma non irresponsabilmente né superficialmente dimentico di tutto l’Irreversibile che sta lì a ricordarci che abbiamo lungamente vissuto già, che abbiamo avuto tanto di cui ringraziare, che non è saggio aggiungere di che farsi perdonare.
Non al di là del Reale, dunque, ma oltre il Reale. Non presumendo di poter ‘scavalcare’, elidere, mettere a tacere tutto ciò che conta e che pesa e che parla e che chiama a sé, ad ogni piè sospinto.
Oltre a tutto il Reale, che sembra non esaurire le possibilità dell’esistenza che esiste nel tempo mondano, si dà altro che è possibile esperire, per cui non ci sarebbe ‘spazio’, ma che pure trova ‘posto’, paradossalmente dentro e accanto e lungo i confini del nostro Reale. Ora prudentemente sulla soglia, ora distante, ora dentro i confini, accanto a tutto il pieno che sembra non concedere spazio per altro.
Fare spazio, trovare tempo, contemperare, concedere credito, dare voce, dare il nome che non ferisce e non offende, arredare e ospitare e chiamare e amare di un altro amore, al di sopra dell’amiciza e dell’amore, al di qua dei sentimenti noti, nella regione abitabile del tempo che pure abitiamo con le infinite relazioni che non costituiscono pericolo per il Reale che pure abitiamo.
Un critico vivente scriveva anni fa su un “amore astratto”, concepito come possibile al di sopra di tutto il già noto, chiara comunanza di intenti tra spiriti consapevoli di tutto il peso delle cose, oltre il quale consistere senza nominarle. Come il personaggio protagonista di “Ultimo tango a Parigi”, che non vuole sapere, baroccamente convinto di poter mettere tra parentesi il dolore che pure si porta dentro e condiziona quello che fa.
Le obiezioni morali al nostro sentire sono destinate ad infrangersi tutte contro il sentimento della Gioia e contro il sentimento del Dolore che segnano il nostro consistere ‘ai bordi del Reale’, nel territorio che sempre concorre a definire l’imponderabile, l’impercettibile, l’inscalfibile tratto dei margini della nostra esperienza, là dove ci accade di scoprire l’esistenza dell’altro, nella sua consistenza che saremmo tentati di definire ‘eterna’, per l’impossibilità di sottometterla alle leggi della precarietà, della provvisorietà, dell’inattendibilità che contraddistinguono spesso i sentimenti umani.
La destinazione mondana a cui ci consegna la Gioia proviene dal sentirla come originata da quella esistenza che spontaneamente si situa nelle regioni abitate da noi, che ci viene incontro e che ci parla e che si allontana da noi senza generare alcun sentimento di privazione, di assenza, di mancanza. Non sarebbe Gioia, se non fosse contraddistinta da pienezza e dall’assenza del desiderio di chiedere altro. Siamo paghi del fatto che lei esista, che una persona esista per noi, interessata a parlare con noi e a riguardarci a sua volta come esistenza che esiste, che non genera il senso doloroso della mancanza, dell’assenza, della privazione.
C’è da dire che un tale sentire si addice agli spiriti magni, alla grandezza morale di chi è consapevole di sé e riesce a fondare interamente sulla propria coscienza le scelte consce di cui è capace.
Se l’esperienza del dolore è la sola voce che garantisca il governo del sentimenti, accanto alla Gioia sarà il Dolore a sostenerci nel cammino esistenziale. Percorrendo insieme i sentieri del reciproco riconoscimento, arrederemo la provincia dell’impero, senza trascurare mai le altre voci, quelle che abitano da sempre il nostro Reale. Consistere in questo territorio, nella terra incognita dell’esperienza dell’Altro è divino, perché fonte di Gioia sempre rinnovata. Questo è il vero mistero, il dono insperato che si rinnova facendoci sentire creature privilegiate, che non hanno più bisogno di doversi sentire degne di essere amate.

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17 luglio 2022 – Incontro con Parisio Di Giovanni

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10 giugno 2022 – Incontro con Nicola Mastronardi

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Presentazione dell’Associazione

 

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Il gruppo come moltiplicatore di apprendimento

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L’essenza dell’errore consiste nel fatto che non lo conosciamo (Blaise Pascal).

L’essenza dell’illusione risiede nel difettoso lavoro di interpretazione delle percezioni interne (Max Scheler).

Per imparare a pensare una buona via d’accesso alla conoscenza potrebbe essere questa: siamo disposti ad accettare una moltiplicazione degli sguardi – che altri ci aiutino a vedere l’errore e a interpretare correttamente l’esperienza, per non cadere preda dell’illusione? Le condizioni che rendono il gruppo un moltiplicatore di apprendimento sono due: l’interdipendenza positiva, cioè la percezione e la piena consapevolezza che il risultato, positivo o negativo, non possa essere che un esito collettivo; la responsabilità personale, cioè ognuno si deve sentire responsabile non solo del proprio lavoro ma anche di quello di tutti gli altri.

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25 novembre 2021 – Incontro con Federico Butera

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17 novembre 2021 – La notte più corta

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