CAMMINARSI DENTRO (54): Un viaggio a L’Aquila.

Oggi sono stato a L’Aquila per alcune ore del mattino. Ho accompagnato una nipotina che studia e lavora lì. Il giorno prima del terremoto lei era rientrata per rivedere il nonno morente. Solo oggi ha potuto rivedere la casa che condivideva con tre compagne di studio. La casa probabilmente sarà abbattuta: ha subito danni gravi.

Siamo partiti alle sette, per arrivare a un’ora ragionevole all’appuntamento con i Vigili del Fuoco che raccolgono le richieste e accompagnano nelle case disabitate a radunare le cose lasciate lì.

Alla periferia della città siamo stati fermati da due soldati e invitati a parcheggiare la macchina in una strada vicina. Abbiamo atteso il nostro turno per circa un’ora e poi con le macchine private abbiamo seguito la camionetta dei Vigili che ci ha scortati fino alla casa, che non era molto distante.

Non ho potuto vedere molto, a parte alcune case segnate visibilmente dalla distruzione, la Casa dello Studente, il Tribunale.

Quando siamo scesi dalle macchine, una delle compagne di mia nipote era commossa. Silenziosamente, piangeva. Al rientro, Lara mi ha spiegato che la sua amica viveva in quella casa da sei anni. Lei stessa sente L’Aquila come una nuova patria. Da essa è doloroso allontanarsi.

Due alla volta, scortati da un Vigile, abbiamo raggiunto la casa, abbiamo raccolto libri, vestiti, oggetti personali e siamo ripartiti, dopo circa due ore.

Le quattro ragazze si sono separate. Quella che aveva pianto, assieme alle altre tre, raccontava e cercava di sporgersi verso il futuro, consapevole del fatto che il terremoto aveva portato via con sé tante cose, tanta vita, anche un’amicizia, forse, che la lontananza ora avrebbe messo alla prova. Nelle serate precedenti aveva cercato telefonicamente mia nipote per ricreare con lei, almeno al telefono, l’illusione che stessero passando ancora una serata insieme. Avevano deciso in una di queste sere di accendere insieme la sigaretta, come facevano sempre dopo cena nella loro casa de L’Aquila.

Mentre Lara radunava smarrita le sue cose, il Vigile che l’assisteva cercava di rassicurarla, le diceva di guardarsi bene intorno e di non avere fretta: poteva portarsi via tutto. Non era necessario pensare di tornarci ancora, magari per non far perdere tempo oggi. Mentre apriva un cassetto che conteneva la sua biancheria intima, il Vigile le ha chiesto discretamente se voleva che lui si girasse. Una sua compagna gli aveva chiesto di farlo. Al pudore di lei lui aveva risposto con un pudore ancora più grande. Quando ci siamo salutati, abbiamo stretto vigorosamente la mano ad ognuno dei Vigili che avevano fatto la spola tra la casa e la macchina, per aiutarci a trasferire tutte le cose personali. Ad ognuno abbiamo augurato buon lavoro. I loro racconti umanissimi erano stati brevi e riproposti a bassa voce. Nella città deserta le loro voci non risonavano per niente. Chissà se si comportavano così per rispetto, perché nemmeno nel tono la voce sembrasse irriguardosa nei confronti del dolore contenuto delle quattro ragazze! Abbiamo salutato Vigili di Pesaro e di Rimini. Accanto a noi in quelle ore abbiamo visto  passare tutta l’Italia. Non mancava nessuno.


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