Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (259): Modellizzare l’esperienza attraverso organizzatori della conoscenza

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Martedì 23 agosto 2011

E’ di grande aiuto il semplice ‘principio’ che si riesce ad organizzare la propria conoscenza – attraverso mappe (mentali e concettuali ), diagrammi, schemi… – solo a condizione che si abbia una conoscenza compiuta del tema prescelto: se ‘viene fuori’ una mappa incompleta, vuol dire che le nostre conoscenze su quell’argomento non vanno oltre il ‘rappresentato’!
Questa Rubrica, ad esempio, risponde all’esigenza di stendere un’ampia mappa del territorio della coscienza: restituisce il dialogo interiore. La Pagina di WordPress che porta lo stesso titolo della Rubrica non è altro che una lista dei post raccolti sotto la Rubrica; a modo suo, è una mappa del territorio, dal momento che in mezzo ad oltre mille post restituisce la lista di tutto ciò che corrisponde al compito del camminarsi dentro.
Sto sperimentando altre forme di organizzazione della conoscenza (verificare qui, qui, ma anche qui e qui), perché sento che lo stile prescelto cambia in base all’ambiente in cui mi muovo.
Nella ‘progettazione’ di un testo scritto, da sempre si suggerisce allo studente di partire con una lista disordinata delle idee (o con una mappa mentale), che successivamente sarà ordinata con il ricorso a categorie che corrispondano alla traccia da seguire (ad esempio, cause, problema, rimedi). Dunque, anche le semplici liste sono una verifica di tutto quello che abbiamo da dire. Annotare un fatto elencando tutto quello che ci viene in mente è già un inizio.

Nel lavoro pomeridiano nel Centro di ascolto ho preso l’abitudine di annotare schematicamente sulla Moleskine i dati essenziali dei colloqui del giorno. A partire dal primo contatto scrivo il nome della persona intervenuta. Cerchio il suo nome – come si fa con le mappe – e collego il suo nome a quello dell’altra persona, se si tratta dei due genitori. Scrivo il numero di telefono da cui è partita la chiamata. Chiedo il permesso di registrare quel numero, per avere la possibilità di richiamare, se si rende necessario modificare gli orari degli appuntamenti. Elenco, accanto alla piccola mappa costruita, i fatti salienti, per potervi tornare su negli appuntamenti successivi. Metto in rilievo, cerchiando due volte, la persona che ha preso l’iniziativa e che trascina con sé l’altra, se si tratta di coppia genitoriale che si presenta unita al primo appuntamento. Inserisco negli appunti la qualità della comunicazione tra i due, gli impliciti, i meccanismi eventuali che ostacolano la comunicazione, il livello di autostima… Quando interviene il figlio, la mappa cresce. A parte, costruisco una mappa più grande o più di una mappa per registrare la natura delle relazioni, riconducendole a fatti significativi.
La rappresentazione grafica di partenza è riconducibile alla mappa mentale, che è basata su associazioni dirette. Successivamente, i ‘materiali’ utilizzati per costruire la mappa saranno sfruttati per costruire una mappa concettuale, che è basata sulle connessioni logiche esistenti tra i nodi – le persone – della mappa stessa. La gerarchia a cui costringe la mappa concettuale – con la sua struttura ad albero capovolto – guida l’osservazione e la lettura delle relazioni esistenti all’interno della famiglia. ‘Prima’ e ‘dopo’ l’intervento d’aiuto le cose sono molto diverse tra loro. Le linee – le frecce – che collegano i nodi saranno più o meno spesse a seconda della qualità della relazione esistente tra le persone. Una freccia tratteggiata all’inizio segnalerà la ‘comunicazione sospesa’ tra il ragazzo e il resto della famiglia, soprattutto quando la dipendenza si sia strutturata. Dopo i programmi di recupero, se la persona avrà imparato a fare coping e se potrà esibire un livello soddisfacente di empowerment, la freccia che collegherà il nodo che la rappresenta al resto della famiglia sarà una linea continua, a volte anche molto spessa.

Quando scopro un ‘varco’ in cui inserirmi, lo annoto rivoluzionando la mappa. Di solito, i genitori riferiscono fatti molto significativi senza dare ad essi la dovuta importanza. Invece, è proprio a partire da qualche dettaglio che è possibile comprendere un lato del carattere, un’inclinazione, le forme assunte dal disagio, rotture, discontinuità, rimozioni…. Allineo le scelte educative, registrando il peso esercitato dai genitori sulle scelte del figlio.
Individuata la dissonanza cognitiva – sono io che rendo tale un fatto trascurato -, la metto al centro dei colloqui di motivazione con i genitori, per restituire loro la consapevolezza della loro essenziale funzione di riferimento per il figlio: un fatto significativo, che ci dica “chi è” il ragazzo, aiuta a calmare l’ansia, ad uscire dal senso di impotenza che prova chi magari si è convinto di aver provato tutto e che non ci sia più niente da fare. La persona si apre alla speranza, ché incomincia ad intravvedere possibilità nuove.
Su un block notes con molte pagine costruisco le mappe ‘definitive’, quando il paesaggio affettivo della famiglia è completo. Cerco di far emergere dai colloqui i volti e le voci: registro il senso che riesco ad assegnare ai volti e alle voci. Abbozzo biografie. Costruisco la fonosfera – il paesaggio sonoro, le nostre voci – in cui ci moviamo. Al momento opportuno, me ne servo per colpire la fantasia degli interessati, per rafforzare la relazione educativa costruita. Ogni costruzione visuale porta la data della conclusione, quando cioè il quadro è chiaro.

Allora, posso parlare del frame, cioè della cornice dentro la quale si consuma il ‘dramma’ del ragazzo. Si tratta di una vera e propria ‘scena’ sulla quale i diversi attori ‘giocano’ ruoli diversi. Se, ad esempio, la madre parla sempre e il padre tace, si suggerisce alla madre un ruolo più ‘sobrio’, per consentire al padre di esprimersi in modo difforme. Quando questo avviene, si aiuta la madre a rispettare le enunciazioni del padre. Si discute il significato del rispetto dei ruoli e come esso giovi alla comunicazione allargata in famiglia. Se il ragazzo avverte cambiamenti nei genitori, è spinto dalla curiosità a intervenire agli incontri. Il lavoro inizia.

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