La striscia rossa de l’Unità di oggi

«Io credo in un’America dove la separazione di Chiesa e Stato sia assoluta. Dove nessun gruppo religioso cerchi di imporre i suoi voleri direttamente o indirettamente sulla popolazione o sugli atti pubblici dei suoi funzionari», JOHN FITZGERALD KENNEDY, 12 settembre 1960

*

I teppisti della gerarchia vaticana chiamano eutanasia tutto ciò che noi uomini liberi riferiamo ai nostri problemi di fine vita; chiamano cultura della morte ogni nostro tentativo di parlarne; chiamano protocollo di morte quello che stanno facendo i medici intorno al letto di Eluana Englaro.

Il loro odio per la nostra libertà li spingerà fino ad approvare tutte le scelte eversive dei teppisti al governo.

Ora sappiamo che i nostri nemici giurati, quelli che ci odiano a morte, non sono solo i cloni del miliardario-che-ride ma anche i talebani in tonaca nera.

Quando nei prossimi giorni il Parlamento supino approverà una legge infame che decreterà che in Italia è impossibile rifiutare l’alimentazione e l’idratazione forzata, non ci resterà altro da fare che chiedere aiuto alle Istituzioni europee, alle strutture sanitarie dei Paesi civili vicini, con la speranza di trovare compassione lontano dalla melma clericale italiana.

*

TESTAMENTO DI VITA DI GABRIELE DE RITIS, RILASCIATO IL 7 FEBBRAIO 2009

Io sottoscritto, Gabriele De Ritis, nato a Lanciano (CH) il 25 settembre 1948, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali e fisiche, dichiaro quanto segue.

Potrebbe accadere che, a un certo punto della mia vita, mi venga a trovare in uno stato di morte cerebrale, coma irreversibile, malattia allo stadio terminale e in generale in qualsiasi stato in cui la mia sopravvivenza sia legata all’utilizzo non temporaneo di macchine o altri sistemi artificiali, compresa l’alimentazione e l’idratazione forzata.

Nel caso in cui fossi impossibilitato a esprimere la mia volontà, chiedo ora alla mia donna, alle persone che mi hanno conosciuto, al personale di assistenza che incontrerò, ai detestabili comitati di bioetica che vorrebbero decidere per me, al giudice che sarà chiamato ad emettere una sua sentenza, un gesto di compassione.

Faccio mia la definizione di “compassione” nella sua accezione buddhista di “un sentimento considerato portatore, per ogni essere senziente, del desiderio del bene per gli altri”.
Ritengo ogni forma di accanimento terapeutico come un atto di crudeltà, lesivo della mia dignità di essere umano. Di conseguenza, considero la sospensione di tali trattamenti come un gesto di compassione.

Non ho paura della morte, e ancora meno della sofferenza, che giudico inutile se indotta da tecnologie mediche (delle quali apprezzo immensamente i progressi scientifici e tecnici) ormai impossibilitate a consentire una qualità di vita accettabile alla mia sensibilità psicologica ed esistenziale. Vorrei tuttavia poterla accogliere come un lungo ed eterno sonno dove le molecole momentaneamente aggregate nel mio attuale corpo si stanno riaggregando in altre forme di vita. Là, nell’infinito che mi pre-esisteva e che continuerà oltre il mio temporale Io.

Considero l’essere tenuto in vita da un macchinario una violenza da me non voluta che ritarda l’appuntamento che comunque mi aspetta, come per qualunque essere vivente.
Il corpo che ho avuto in prestito in vita lo cedo per trapianti.
Il resto vorrei che fosse cremato, e le mie ceneri restituite alla terra.

Gabriele De Ritis
7 febbraio 2009

[ Questo testo ricalca sostanzialmente quello dell’amico Paolo Ferrario ]

Questa voce è stata pubblicata in Attacco allo Stato. Contrassegna il permalink.