CAMMINARSI DENTRO (94): La libertà lega, non scioglie.

L’esperienza amorosa personale, ricostruita attraverso i racconti o colta per frammenti, non finisce mai di svelarci lati insospettati della nostra educazione sentimentale e, ancora di più, aspetti del nostro carattere di cui non possiamo fare a meno di stupirci.


Recentemente, ho registrato la ‘posizione’ inedita di un ragazzo tossicodipendente avviato a concludere il suo lungo cammino di affrancamento dai ceppi della dipendenza.
Dopo una ‘ricaduta’, verificatasi un anno fa, fatta di pochi contatti con le sostanze, ma segnata da una preoccupante deriva dai suoi doveri familiari e coniugali – notti trascorse fuori di casa con gli amici e dissipazione dei risparmi -, è tornato a chiedere aiuto al Centro di ascolto ed è stato accompagnato da me per un tratto di strada che lo ha riportato finalmente a casa. Infatti, era stato invitato ad andar via, per la sua inattendibilità e per i comportamenti irrispettosi da lui adottati nei confronti di sua moglie e della famiglia di lei.
Per sei mesi è vissuto da solo in una casa ammobiliata presa in affitto. Lì ha costruito nuove abitudini. Ha accettato di vivere completamente da solo, senza cercare la facile compagnia di ‘compagni di merende’ o di ragazze disponibili. Ha seguito fedelmente i miei suggerimenti, con l’intenzione manifesta di dimostrare alla sua donna che era capace di attendere pazientemente che le cose cambiassero in meglio. Laura – è il nome di comodo che daremo alla sua donna – ha deciso recentemente perfino di chiedere la separazione da lui. Il calvario a cui è stato sottoposto sarebbe lungo da raccontare. La stessa Laura ha mostrato grande indecisione, dipendenza estrema da sua madre nelle scelte, accettazione supina dei gesti offensivi consumati ai danni di suo marito da parte della sua famiglia ad ogni piè sospinto…
Nelle settimane trascorse, che sono state punteggiate da regolari incontri con lui, ho toccato tutti i temi della vita morale a cui deve fare riferimento una persona che aspiri ad essere perdonata e che non possa pretendere di ottenere il perdono tanto presto e tanto facilmente. Le tappe della mortificazione di sé, della contrizione morale, del silenzio indispensabile nei momenti di confusione, dell’espiazione esibita con dignità e chiarezza; della ‘dimostrazione’ quotidiana della bontà delle intenzioni, della fedeltà assoluta, della trasparenza della coscienza sono state scandite una dopo l’altra, sullo sfondo di un atteggiamento che ha stupito anche me: egli è riuscito ad accettare la solitudine della vita in una casa vuota in cui si rifugiava al rientro dal lavoro o dopo aver visto per poche ore suo figlio prima di dormire.
Il nostro tema è proprio questo: quella solitudine. Egli si è abituato ad essa. Ha finito per amarla.  Forse, l’abbiamo esaltata troppo insieme, nel duro lavoro fatto con esercizi spirituali tesi alla realizzazione della giusta attesa!
Pochi giorni fa è venuto a dirmi che, una volta ottenuto il perdono da sua moglie e dopo essere stato riammesso in casa, prova strane emozioni. In mezzo alla felicità della famiglia riconquistata, prova fastidio per le attenzioni eccessive di sua moglie: le sue richieste pressanti non gli piacciono più; vorrebbe ‘spazio’ per sé,  per meditare, per leggere… Lo stesso figlio, per il quale avrebbe fatto qualsiasi sacrificio per stargli sempre vicino, ora gli appare faticoso, opprimente.
E’ stato necessario distinguere con lui tra aspetti sentimentali e aspetti morali della sua ‘nuova’ condizione.
Del rapporto con sua moglie è difficile discutere, ed io sono portato a non farlo, cioè a non entrare mai nelle vicende coniugali, al di là di generiche raccomandazioni al rispetto e alla prudenza.
Del rapporto con suo figlio è stato affrontato, in prima battuta, l’aspetto che lo riguarda come padre: il compito dell’accudimento – suo figlio ha due anni -, da condividere con Laura. Si tratta, ora, di aiutarla nei momenti della giornata in cui deve uscire. Egli deve, inoltre, realizzare finalmente dentro di sé la vera nascita di suo figlio, rinunciando a pensarlo soltanto come trastullo e intrattenimento di poche ore. Deve rinunciare a una parte di sé, in questa fase della sua vita, a vantaggio dell’idea, ben più corposa, della crescita di suo figlio: i genitori crescono assieme ai loro figli. Egli dunque deve farsi piccolo assieme a lui, condividendo giochi e affanni, esuberanze e ostinazioni, cercando di condividere sempre i tempi di vita di suo figlio, almeno fino a quando non andrà a scuola.

Di sé come figlio egli sa molto, perché abbiamo parlato per quasi due anni del rapporto difficile con suo padre e di come sia necessario emanciparsi dalla figura paterna senza tradirla.
Di sé come padre egli sa poco, perché è ancora convinto di avere diritto a ‘spazi’ personali di libertà; concepisce ancora la libertà come un fatto personale, privato, in cui non ne va delle relazioni umane che definiscono il nostro “mondo della vita” e il nostro “paesaggio affettivo”; crede che i sacrifici e le rinunce siano finiti; non conosce la condizione che le donne apprendono subito, fin dalla nascita di un figlio: non siamo noi ad avere bisogno dei nostri figli, sono loro che hanno bisogno di noi!
Egli dovrà fare ora l’esercizio più duro per un ‘ex’ tossicodipendente: apprendere una nuova forma di libertà, quella vera, la libertà come obbligazione, la libertà che lega. Egli dovrà mettere suo figlio al primo posto nel suo cuore e nei suoi pensieri. Dovrà imparare a pensare che tra lui e suo figlio deve instaurarsi un legame indistruttibile, che forse si sta già instaurando, perché egli ne patisce già i segni: suo figlio reclama le sue attenzioni, ha bisogno di lui, della sua vicinanza paziente. Suo figlio chiede tutto il suo tempo e tutte le sue attenzioni. Egli deve ‘morire’ nascendo a questa nuova vita. Deve scegliere, accettare, dire sì.

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