Camminarsi dentro (1): Il coraggio di educare

[ All’inizio dell’anno scolastico ho presentato al Dirigente scolastico la proposta che segue. Il viaggio non è stato più organizzato. Andrò da solo ad Auschwitz a luglio ]

VIAGGIO DI ISTITUTO

I docenti sottoscritti propongono che si tenga un viaggio di istituto ad Auschwitz, al quale possano partecipare tutte le componenti della nostra scuola in modalità da definire, per tornare ad attingere dalla realtà ragioni ideali che valgano a rafforzare in noi la volontà e il coraggio di educare e di crescere insieme, per contribuire alla riaffermazione della nostra identità civile con l’aiuto della Memoria dell’offesa, per rinnovare la preghiera e la riflessione silenziosa dove l’imperdonabile e l’imprescrittibile si sono consumati, per testimoniare al mondo la nostra presenza e la nostra esistenza vigile e consapevole, per fornire ai ragazzi delle prime classi un esempio forte dell’identità culturale della scuola.

Le nostre ragioni

Se volessimo rispondere alla domanda: «Perché andare ad Auschwitz?», potremmo ricorrere alle parole di Claudio Magris (da L’infinito viaggiare), perché sospinti dall’urgenza morale di ridefinire il nostro modo di consistere qui e ora e perché preoccupati che il viaggio non sia un tentativo di ‘guarire’ l’immedicabile ferita.

«Viaggiare è immorale, diceva Weininger viaggiando; è crudele, incalza Canetti. Immorale è la vanità della fuga, ben nota a Orazio che ammoniva a non cercare di eludere i dolori e gli affanni spronando il cavallo, perché la nera angoscia, dice il suo verso, siede in groppa dietro il cavaliere che spera di farle perdere le proprie tracce. L’io forte, secondo il filosofo viennese presto stroncato dalla convivenza con l’assoluto, deve restare a casa, guardare in faccia angoscia e disperazione senza volerne essere distratto o stordito, non distogliere lo sguardo dalla realtà e dal combattimento; la metafisica è residente, non cerca evasioni né vacanze. Forse talora l’io resta a casa e a viaggiare è un suo sembiante, un simulacro simile a quello di Elena che, secondo una delle versioni del mito, aveva seguito Paride a Troia, mentre la vera Elena sarebbe rimasta, per tutti i lunghi anni della guerra, altrove, in Egitto. Weininger denunciava nel viaggio la tentazione dell’irresponsabilità; chi viaggia è spettatore, non è coinvolto a fondo nella realtà che attraversa, non è colpevole delle brutture, delle infamie e delle tragedie del paese in cui s’inoltra. Non ha fatto lui quelle leggi inique e non ha da rimproverarsi di non averle combattute; se il tetto di una notte crolla ed egli non ha proprio la disgrazia di restare sotto le macerie, non ha altro da fare che prendere la sua valigia e spostarsi un po’ più in là. In viaggio si sta bene perché, a parte qualche sciagura, terremoto o disastro aereo, non può veramente accaderci nulla; non si mette in gioco la propria vita. Il viaggio è anche una benevola noia, una protettrice insignificanza. L’avventura più rischiosa, difficile e seducente si svolge a casa; è là che si gioca la vita, la capacità o incapacità di amare e di costruire, di avere e dare felicità, di crescere con coraggio o rattrappirsi nella paura; è là che ci si mette a rischio. La casa non è un idillio; è lo spazio dell’esistenza concreta e dunque esposta al conflitto, al malinteso, all’errore, alla sopraffazione e all’aridità, al naufragio. Per questo essa è il luogo centrale della vita, col suo bene e il suo male; il luogo della passione più forte, talora devastante – per la compagna e il compagno dei propri giorni, per i figli – e la passione coinvolge senza riguardi. Andare in giro per il mondo vuol dire pure riposarsi dall’intensità domestica, adagiarsi in piacevoli pause pantofolaie, lasciarsi andare passivamente – immoralmente, secondo Weininger – al fluire delle cose.» (da CLAUDIO MAGRIS, L’infinito viaggiare)

Auschwitz è il culmine della Shoah. La lezione che viene da lì è duplice. Da una parte, essa è l’emblema del trionfo della tecnica; dall’altra, è la prova della furia della libertà che si accanisce contro se stessa. I fatti storici hanno confermato l’ipotesi peggiore sulla natura umana: prevale l’istinto gregario; gli uomini amano obbedire; messi in gruppo diventano ‘branco’ disposto ad uccidere; eterodirezione, passività, suggestionabilità sono i tratti degli umani. Il servo arbitrio che li contraddistingue può farsi libero, ma ognuno di loro ha da scoprire come sia possibile e poi per il resto della vita praticarlo strenuamente, se non altro per non ritrovarsi nella condizione di poter nuocere agli altri ‘senza volerlo’…

Ha ragione Steiner: «Noi veniamo dopo». Se ci interroghiamo su chi noi siamo, oggi possiamo rispondere solo così: Noi veniamo dopo Auschwitz.

«NOI VENIAMO DOPO. ADESSO SAPPIAMO CHE UN UOMO PUO’ LEGGERE GOETHE O RILKE ALLA SERA, PUO’ SUONARE BACH E SCHUBERT E QUINDI, IL MATTINO DOPO, RECARSI AL PROPRIO LAVORO AD AUSCHWITZ. DIRE CHE EGLI HA LETTO QUESTI AUTORI SENZA COMPRENDERLI O CHE IL SUO ORECCHIO E’ ROZZO E’ UN DISCORSO BANALE E IPOCRITA.

IN CHE MODO QUESTA CONOSCENZA PESA SULLA LETTERATURA E SULLA SOCIETA’, SULLA SPERANZA, DIVENUTA QUASI ASSIOMATICA DAI TEMPI DI PLATONE A QUELLI DI MATTHEW ARNOLD, CHE LA CULTURA SIA UNA FORZA UMANIZZATRICE, CHE LE ENERGIE DELLO SPIRITO SIANO TRASFERIBILI A QUELLE DEL COMPORTAMENTO? PER GIUNTA, NON SI TRATTA SOLTANTO DEL FATTO CHE GLI STRUMENTI TRADIZIONALI DELLA CIVILTA’ – LE UNIVERSITA’, LE ARTI, IL MONDO LIBRARIO – NON SONO RIUSCITI A OPPORRE UNA RESISTENZA ADEGUATA ALLA BESTIALITA’ POLITICA: SPESSO ANZI ESSI SI LEVARONO AD ACCOGLIERLA, A CELEBRARLA, A DIFENDERLA. PERCHE’? QUALI SONO I LEGAMI, PER ORA ASSAI POCO COMPRESI, TRA GLI SCHEMI MENTALI E PSICOLOGICI DELLA CULTURA SUPERIORE E LE TENTAZIONI DEL DISUMANO? MATURA FORSE NELLA CIVILTA’ LETTERARIA UN GRAN SENSO DI NOIA E DI SAZIETA’ CHE LA PREDISPONE ALLO SFOGO DELLA BARBARIE?» (da GEORGE STEINER, Linguaggio e silenzio)

Nel suo intervento al Seminario Cultura Scuola Persona, tenutosi a Roma, presso la Biblioteca Nazionale Centrale, il 3 aprile 2007, il Ministro della Pubblica Istruzione, tra le altre cose, ha affermato:

Il preside di un liceo americano sopravvissuto alla Shoah scriveva ogni anno ai suoi insegnanti:

Caro professore,

sono un sopravvissuto di un campo di concentramento. I miei occhi hanno visto ciò che nessun essere umano dovrebbe mai vedere: camere a gas costruite da ingegneri istruiti; bambini uccisi con veleni da medici ben formati; lattanti uccisi da infermiere provette; donne e bambini uccisi e bruciati da diplomati di scuole superiori e università.

Diffido, quindi, dell’educazione.

La mia richiesta è: aiutate i vostri allievi a diventare esseri umani. I vostri sforzi non devono mai produrre dei mostri educati, degli psicopatici qualificati, degli Eichmann istruiti. La lettura, la scrittura, l’aritmetica non sono importanti se non servono a rendere i nostri figli più umani.

Ci accingiamo a compiere il viaggio di istituto ad Auschwitz mossi da ragioni politiche e morali, per testimoniare a noi stessi la volontà e il coraggio di continuare ad educare.

Sora, 22 settembre 2007

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