XENOFOBIA

Nel Diario di Repubblica di oggi, dedicato a Xenofobia, Il Sillabario è ricavato da giudizi di Bauman:
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«La xenofobia – crescente sospetto di un complotto straniero e rancore verso gli “estranei” (specialmente verso i migranti, che in modo vivido e molto evidente ci rammentano che i muri possono essere sfondati e i confini cancellati, e tramite i quali si bruciano in effigie le misteriose, incontrollabili forze globalizzanti) – può essere intesa come un riflesso del disperato tentativo di salvare quel che resta della solidarietà locale…
Le nuove classi pericolose sono quelle riconosciute come non idonee alla reintegrazione e dichiarate non assimilabili, poiché si ritiene che non saprebbero rendersi utili neppure dopo una “riabilitazione”. Non è corretto dire che siano in eccesso: sono superflue, ed escluse in modo permanente».


All’interno del Diario, le solite citazioni:
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Il comportamento degli stranieri viene ricondotto a supposte caratteristiche collettive stereotipate e deindividualizzate – del turco, dello zingaro, degli ebrei… (Ulrich Beck)

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Nelle nostre società del benessere si moltiplicano le reazioni etnocentriche della popolazione indigena contro tutto ciò che è diverso (Jürgen Habermas)

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Non esiste razzismo finché l’altro è altro. Il razzismo comincia ad esistere non appena l’altro diventa diverso, cioè pericolosamente prossimo (Jean Braudrillard)

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Il risentimento verso gli immigrati ha incoraggiato la nascita di partiti xenofobi di estrema destra, alcuni dei quali hanno trovato un forte sostegno popolare (Jeremy Rifkin)

In prima pagina il primo pezzo è di ADRIANO SOFRI. Il titolo è: Il vento xenofobo e le colpe della sinistra. I titoli interni: Dagli zingari ai Romeni: ecco la caccia alle stregh. – Xenofobia. Se esplode la paura dell’altro. – Si bruciano i campi rom, si processano interi popoli. Che cosa accade in Italia? – La storia di un paese che ha vissuto con la sua emigrazione la stessa condanna.
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Mi hanno raccontato di un giovane padre il cui bambino ha paura dell´uomo nero. Il padre gli ha detto che non risulta a sua memoria un solo caso di uomo nero, gli ha fatto vedere le statistiche: niente, il bambino ha ancora paura. Chi non s´intenerirebbe a un bambino spaventato dall´uomo nero?

Purché una popolazione di milioni di adulti non pretenda di fare tenerezza anche lei. La xenofobia, si dice, è la paura del diverso, dunque è qualcosa di naturale. Chi non prova un´apprensione, una diffidenza, un´angoscia nei confronti dello sconosciuto? Mah: non ci si crogioli troppo con le etimologie. La xenofobia è anche l´invenzione del diverso, e il disprezzo, l´avversione e la persecuzione del diverso. È a un passo dal razzismo, e spesso quel passo l´ha fatto.

Gli italiani non sono xenofobi, non sono razzisti? Ah, Padre, non metterci alla prova, non indurci in tentazione. Nel dizionario dei nostri luoghi correnti gli zingari sono associati da sempre al fuoco, al lanciafiamme, ai forni. Figurarsi quando incenerire rifiuti urbani non si può, rifiuti umani magari sì. Tutto in ordine: un commissario speciale ai rifiuti urbani, uno agli umani. Speriamo che qualcuno segua la vicenda della ragazza accusata di voler rubare una bambina a Ponticelli, fino a venirne a capo. Come spiega il padre sull´uomo nero, abbiamo statistiche inesorabili che non contemplano bambini rapiti da zingari: da altri italiani sì.

I sondaggi freschi danno i “musulmani” retrocessi al quarto posto, dopo zingari, albanesi e romeni (è già tanto che distinguano fra rom e romeni). Ah, popolo fanciullescamente volubile: abbiamo già declassato, per il momento, lo scontro di civiltà. Davvero, dobbiamo preoccuparci di evocare a vanvera l´antisemitismo dell´infanticidio rituale, la memoria dei pogrom? Mah: direi che sono altre le parole che andrebbero risciacquate: sicurezza, per esempio, sinistra, per esempio. O intere locuzioni, che non si ascoltano più senza ridere: radicarsi nel territorio, per esempio. La Lega ha messo tutti in soggezione grazie alla sua prova di Radicamento nel Territorio.

Ma in una classifica neutrale della materia c´erano, sia detto senza offesa, modelli più rigogliosi, non so, Hamas, radicata nella striscia di Gaza, la camorra, la mafia, la ´ndrangheta. Perfino la democrazia, obbligata a ratificare gli esiti elettorali del radicamento nel territorio, conosce le sue eccezioni, come negli scioglimenti prefettizi di amministrazioni comunali dove si esagera col radicamento. Ci sono posti nei quali viene da augurarsi un certo sradicamento dal territorio: guardate Roberto Saviano, che ha scavato così a fondo alla ricerca delle radici da dover vivere altrove, invidiato, minacciato e braccato. La Lega, quando si proclamò padana, dichiarò stranieri tutti gli altri.

Non è piacevole dirlo, ma il succo delle elezioni sta in un´espulsione, un rigetto della classe politica di centrosinistra dalla pancia del paese. Un caso di rocambolesca xenofobia. Del resto la posta ultima della lotta politica fu dall´antico questa: l´esilio degli altri. Bisogna pensarci, quando si pronuncia la frase celebre: «Io me ne vado all´estero». Non lo prendete troppo per un paradosso. Un segnale lo dava il linguaggio, che trattava all´ingrosso da clandestini migranti stranieri e politica di centrosinistra: «Rimandiamoli a casa» e vaffanculo. Nel caso di Veltroni, più precisamente: «Rimandiamolo in Africa». Così disse Berlusconi, e questo fa somigliare la sbandierata cordialità del suo dialogo attuale a una pratica di diplomazia estera. Lo ridico: non prendetelo per uno scherzo.

Il centrodestra non ha fatto granché, nel biennio fra le due elezioni, per meritare il suo trionfo. Ha fatto tutto la coalizione di governo, compresa la sua componente che fa le veci della destra, che si trattasse, all´interno della maggioranza, di guidare una crociata sull´indulto (sicché il centrodestra beneficiò doppiamente dell´indulto, per le modalità convenienti che aveva dettato, e per il ripudio popolare del governo) o che si tratti, all´interno dell´opposizione, di rivendicare la trasformazione dell´immigrazione “clandestina” in reato penale, come vuole Di Pietro, forte di quaranta parlamentari graziosamente regalati da un Pd sulla cui groppa piantare banderillas quotidiane. Quel che resta del centrosinistra deve chiedersi come mai sia stato solo lui il bersaglio colpito dal giustizialismo allevato in seno, dalla cosiddetta antipolitica, dalla stessa travolgente denuncia della Casta.

Il rigetto pressochè viscerale, esistenziale, della classe dirigente di sinistra si è manifestato con la stessa insofferenza animalesca che prorompe contro gli “stranieri”. Quella classe politica, alla maggioranza degli italiani, ha finito per apparire come un corpo estraneo, da espellere, sul quale sfogarsi e trarre vendetta. Come è potuto succedere? Rispondere, farebbe fare un passo avanti. Ci sono due ordini di questioni. Uno fornisce una piccola consolazione alla disfatta della sinistra, ed è l´argomento della moneta cattiva che scaccia la buona. L´altro condanna la sinistra (tutte le sinistre, dal centro all´estrema) a riconoscersi in un´immagine sfigurata.

La questione, realissima e poi metaforica, della xenofobia è per ambedue quella dirimente.
Tanti anni fa, facendo tesoro di una complicazione come quella sudtirolese-altoatesina (luogo di frontiera, crogiolo di nazionalità e minoranze e lingue, deposito storico di contese acerrime) Alex Langer e i suoi perseguirono per primi un programma federalista, europeista, nonviolento, premuroso verso le piccole patrie e l´orizzonte planetario.
Le tappe di quell´impegno furono scandite dal primo “ecopacifismo”, dal rifiuto coraggioso del censimento etnico, dall´apertura internazionale ai diritti umani. La paziente e delicata anticipazione federalista, locale e globale – i nomi non c´erano ancora – di Langer si volse nel giro di pochi anni (gli anni della Jugoslavia, e di un arrivo così rapido e ingente di migranti in Italia da mutarne la fisionomia demografica e storcerne lo stato d´animo, come una sinistra imbambolata non volle vedere) nella versione leghista degli stessi temi, con la differenza che separa, e anzi oppone, una porta che si apre da una che si chiude.

Federalismo, secessione, macroregione, xenofobia e, non di rado, razzismo furono la nuova moneta – anche il colore verde ne fu confiscato. La sinistra tradizionale in tutte le sue componenti, travolta da vicende internazionali e interne sempre subite e mai anticipate, dall´89 a Mani Pulite, non fece altro, lungo tutto questo tumultuoso volgere di tempi, che provare a galleggiare, spesso ai danni del vicino di naufragio, e rincorrere di volta in volta le occasioni con un cambio di ragione sociale. La nascita del Pd è ancora in bilico: fra l´ennesimo mutamento di ragione sociale, e una svolta vera, comunque di lunga lena.
Ora, la domanda è se in tempi di precipitosa mutazione degli equilibri mondiali, di crisi di modi di produzione e di pensieri, di terremoti di vecchie identità, la moneta cattiva sia inevitabilmente destinata a scacciare la buona.

La storia del Novecento sembra indurre alla risposta pessimista. Naturalmente, ci si guarderà dal concluderne che le responsabilità delle persone e dei gruppi siano irrilevanti. Perché in ogni caso perdere si può, e può perfino essere la sorte più onorevole: ma finire invisi a una larga maggioranza di propri concittadini come stranieri in patria – come gli incolpevoli zingari italiani di cittadinanza, cui la brava gente, anche quella che si contenta di non dar loro fuoco, intima di tornarsene a casa loro… – questo ha bisogno di una speciale spiegazione.

Agli eredi di centrosinistra della Prima Repubblica era rimasta, passato l´inganno della diversità antropologica, un´aura residuale di miglior professionalità, e anche di un più retto cinismo, per così dire.
Le avventure della coalizione hanno distrutto anche questo resto. In cambio, hanno instillato nella maggioranza degli italiani la sensazione da bava alla bocca di un modo di essere di vivere e di esibirsi che ne faceva desiderare la cacciata ben più che la vittoria degli altri. Ne vedremo, ne vediamo già delle belle. Berlusconi promette tante libertà, e tante se ne prende, e intanto un suo avvocato difensore vuole intestarsi il reato di immigrazione clandestina e l´espulsione di qualche centinaio di migliaia di badanti. Troppa grazia. Ma tutto questo non ha impedito che la famosa Casta designasse pressoché solo la consorteria umana del centrosinistra e della sinistra, che la testa di Pecoraro Scanio venisse portata -metaforicamente, grazie a Dio – sulle picche dai sanculotti, e che l´estromissione di un ceto politico apparisse come una pulizia etnica.

Quando il mercato premia la moneta cattiva, si può fare a gara con i cattivi coniatori, battendo monete appena un po´ meno fasulle; oppure fare altro, se si è capaci. Se non se ne sia capaci, almeno dissociare la propria responsabilità dal fuoco alle baracche, così, perché un giorno i propri nipoti…

In seconda pagina, l’antropologo MARINO NIOLA scrive su Il mito dello straniero e l’ospite sgradito. Gli altri titoli: Dalla parola latina “hostis” si può ricavare l’ambiguità di certe figure che arrivano dall’esterno. – Dioniso e Venere. Il dio epidemico e la dea pandemica rappresentavano nel linguaggio dei simboli la forza vitale della mescolanza, ma anche i suoi pericoli. I pro e i contro della crescita culturale.
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In terza pagina, intervista al sociologo ALAIN TOURAINE condotta da Fabio Gambaro: Perché ci sentiamo sempre più minacciati. Gli altri titoli: Vi racconta come pensa uno xenofobo. – L’altro da sé. Nei confronti del diverso agisce un vero tabù. Gli altri sono percepiti come esseri impuri, la cui presenza minaccia una comunità idealizzata come pura e quindi da preservare da contaminazioni.
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«Viviamo in una società in cui ci sentiamo spesso minacciati. La mondializzazione, le catastrofi naturali, la crisi economica, le difficoltà della vita quotidiana. Abbiamo la sensazione di non riuscire più a far fronte a minacce che sono spesso indefinite e imprevedibili. Ci sentiamo senza difese e incapaci di agire, di conseguenza abbiamo paura. Una paura indistinta che trasferiamo sugli altri, soprattutto sugli stranieri».

Alain Touraine non ha dubbi, la xenofobia è una reazione che rivela le contraddizioni di una società sempre più disgregata e incerta. «Attraverso la xenofobia si manifesta la paura di chi, al di là del passaporto, è diverso da noi fisicamente, ma anche sul piano della cultura, della religione o degli stili di vita. Le caratteristiche dell´altro però sono solo un pretesto per poter proiettare su di esso le nostre angosce», spiega il sociologo francese che ha appena pubblicato “La globalizzazione e la fine del sociale” (Il Saggiatore), un volume che viene ad aggiungersi ai molti altri già tradotti in italiano.
«Rifiutando l´altro a partire da questa o quella caratteristica, la xenofobia mette in moto una dinamica che giunge perfino a negare l´umanità dell´altro, dichiarandolo non umano in quanto integralmente diverso da noi. La disumanizzazione dell´altro è una delle conseguenze più gravi della xenofobia».

Significa che lo xenofobo irrigidisce e assolutizza la nozione di altro da sé?
«Per lo xenofobo diventa impossibile vivere insieme agli altri, nei confronti dei quali agisce un vero e proprio tabù. Gli altri sono percepiti come essere impuri, la cui presenza minaccia una comunità idealizzata come pura e quindi da preservare da eventuali contaminazioni. In questo modo, nasce lo straniero assoluto, che diventa una minaccia globale da cui ci si deve difendere. Condotto alle estreme conseguenze, tale ragionamento produce il razzismo, vale a dire la forma più radicale della xenofobia. Naturalmente, chi è xenofobo si muove sempre sul piano generale, stigmatizzando un´intera comunità, anche se poi, sul piano personale, avrà sempre un amico arabo, senegalese o rumeno da esibire per respingere ogni accusa di xenofobia».

Le sembra che oggi la xenofobia sia in crescita?
«Sì e naturalmente ciò mi preoccupa molto, perché si tratta di un segno inquietante per la nostra società. Certo, se ci si colloca in una prospettiva storica, dobbiamo riconoscere che la storia del mondo è spesso stata dominata dal rifiuto degli altri, dei barbari, dei diversi. In passato, abbiamo avuto situazioni molto più gravi di quelle odierne, come quelle nate dalla tratta degli schiavi e dal colonialismo. Oggi però, dopo un lungo periodo in cui la xenofobia sembrava progressivamente arretrare, mi sembra che si stia tornando indietro. Si ritorna alla barbarie. E la xenofobia è una delle sue manifestazioni».

Quali sono le cause di tale evoluzione?
«Viviamo in una società più aperta e mobile, nella quale i contatti tra popolazioni differenti sono più facili e costantemente in crescita. È una situazione che produce conseguenze contraddittorie. Accanto all´apertura e alla disponibilità, si manifesta anche l´esasperazione dell´inquietudine che alimenta il rifiuto degli altri. Ma quando un´intera comunità viene osteggiata e respinta, finisce per ripiegarsi su se stessa, sprofondando nel risentimento. Il riflusso comunitario e la xenofobia sono strettamente intrecciati. Si alimentano vicendevolmente».

La xenofobia nasce anche da una crisi d´identità?
«Certamente, ma non è combattendo chi è diverso da noi che si rafforza la nostra identità. Al contrario, la coscienza della propria identità si accresce nel dialogo con l´altro da sé. In ogni caso, è vero che la xenofobia nasce quando un´identità si sente fragilizzata da minacce non immediatamente riconoscibili. Oltretutto, la mondializzazione, oltre a rimettere in discussione la nostra identità, minaccia la nostra capacità di agire. Sempre più spesso ci sentiamo deboli e impotenti. In alcune situazioni, come ha sottolineato il sociologo Alain Ehrenberg, assistiamo a un vero e proprio crollo dell´io. Allora diventa facile scaricare la responsabilità di tale situazione su qualcun altro che è riconoscibile attraverso questa o quella caratteristica specifica. La minaccia imprecisa e sfuggente diventa così immediatamente identificabile e quindi più facile da respingere. È la dinamica del capro espiatorio».

Di fronte a queste problematiche, la sinistra è spesso accusata d´ingenuità e d´eccessiva comprensione per gli stranieri. Che ne pensa?
«In passato, in nome dei valori dell´Illuminismo, la sinistra ha giustificato la colonizzazione. Quindi non è vero che essa sia sempre stata dalla parte degli altri. Detto ciò, è vero che oggi la sinistra viene spesso accusata di essere troppo accondiscendente nei confronti degli immigrati. Personalmente, non credo sia vero. Semplicemente cerca di resistere a un discorso dominante che utilizza il tema della sicurezza per giustificare un discorso xenofobo. Naturalmente, la sicurezza è un diritto di tutti che va garantito, specie alle popolazioni più deboli e precarie. Non bisogna però cadere nella demagogia, rendendo responsabile delle nostre difficoltà interi gruppi di popolazioni. Oggi tutte le statistiche ci dicono che la criminalità è opera soprattutto di giovani non immigrati. La minaccia criminale quindi viene dall´interno del paese, non dall´esterno. Non sono gli immigrati che vivono nell´insicurezza a minacciare la nostra sicurezza. Bisogna continuare a ripeterlo e cercare di elaborare politiche in grado di tenere insieme accoglienza degli altri e diritto alla sicurezza. Anche se certo ciò non è sempre facile».

Cosa si può fare concretamente per far arretrare la xenofobia?
«Al di là del discorso classico che tenta d´intervenire sulle cause sociali ed economiche che alimentano la paura, mi sembra importante favorire il dibattito e le decisioni politiche a livello locale. È importante che ci sia un dialogo diretto tra i cittadini e gli amministratori politici, perché solo così diventa possibile elaborare politiche efficaci che non siano xenofobe. La discussione è insostituibile, perché consente di smontare e decostruire il discorso della xenofobia, mostrando ai cittadini che gli immigrati non sono una minaccia. La riflessione e la discussione consentono di evitare le reazioni irrazionali. Solo così si sfugge alla paura».



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