Solo i vecchi hanno un futuro.

Oggi mi aspetta la ‘festa’ che i Colleghi faranno a scuola a me e ai Colleghi che, come me, il 10 gennaio hanno presentato Richiesta di  dimissioni  volontarie dall’impiego. Dovrò parlare, alla fine. Dovrò esprimere qualcosa. Ci penso da qualche settimana, anche se nello stesso tempo lavoravo perché non ci fosse nessuna ‘festa’ per me.

E’ venuto in mio soccorso Jean-Marie Straub il 31 maggio, con la Rubrica Indizi de la Repubblica delle Donne. Con la solita grafica, con la quale sono messe in rilievo e a stampatello grande le prime righe, si poteva leggere:

Il futuro non esiste senza memoria. Una volta ho conosciuto una donna, si chiamava Susan Sontag. Era andata in Vietnam ed era tornata. La incontrai per caso, un giorno, a New York e mi disse:

«Sai perché i Vietcong hanno vinto la guerra? Sai perché la guerriglia è riuscita a sconfiggere gli Stati Uniti d’America, la più grande potenza economica e militare del mondo? Perché i vietnamiti hanno memoria. Perché, per ogni situazione del presente, loro hanno da richiamare un ricordo del passato dal quale attingere esperienza e saggezza: ogni avvenimento ha una corrispondenza con un altro, accaduto cinque minuti o cinquecento anni prima. Per questa ragione, secondo lei, non erano riusciti a vincere. Il male peggiore del nostro tempo, invece, è la fuga in avanti. Quest’ansia di sviluppo, di crescita senza fine, che ci condanna a scoppiare come la rana che si è fatta più grossa del bue.»

[…]

Il pensiero corre subito al sedicente ministro della cultura italiano, che ha esordito dicendo: «La cultura non è di sinistra…». La cosa più emozionante, che mi ha fatto vibrare, è data dai tre puntini che ‘chiudono’ idealmente il suo pensiero, così come è stato riportato dai giornali. In un’italia che si affanna da qualche decennio – dall’inizio dell’era berlusconiana – a distruggere tutto il passato, perché non appartiene ai padroni nuovi che i fascisti al governo incarnano e rappresentano plasticamente, il pensiero corre alle parole: «Il futuro è un territorio del passato». Questa gente non va da nessuna parte. Non governa nulla. Non produrrà nulla. Guida questa italia per cui provo irritazione pena e disprezzo al naufragio.

E’ questa la ragione per la quale il 9 gennaio 2008 ho presentato presso la Segreteria della Scuola in cui insegnavo la Richiesta di dimissioni volontarie dall’impiego. Queste parole esprimono bene i miei sentimenti: mi sono dimesso, giacché mi è diventato impossibile ‘salire’ sulla cattedra per combattere una battaglia culturale perduta in partenza. Come raccontare il passato ai giovani che mi erano affidati ogni anno, se i cialtroni che ‘governano’ sono impegnati a negare lo stesso passato e dichiarano impunemente di essere interessati a riscrivere la Storia, a loro uso e consumo? Da questa italia dovevo separarmi moralmente. I Colleghi si sono affannati a spiegare le ragioni per le quali me ne andavo via dalla Scuola. Oggi chiarirò loro una volta per sempre che non ero interessato a raggiungere il massimo della pensione, come amano dire loro. Nè mi premeva fare il maggior numero possibile di anni di insegnamento (?). Come ebbe a dire Cacciari nel 1976, verso la conclusione della sua esperienza parlamentare: «La mia presenza è residuale qui». Dovevo andarmene anche prima, molto prima.

Se è vero che il futuro non esiste senza memoria, a differenza di questa italia, alla quale mi sento totalmente estraneo, che non ha nessun futuro, ché non ha un passato di nessun genere ormai che si possa chiamare tale, io sento di avere un futuro, perché non sono italiano, cioè non sono impegnato a distruggere il mio passato: ho edificato tutta la mia vita su quello che mi è stato insegnato e non ho rinunciato negli anni del cancro berlusconiano nemmeno a un grammo di quel passato. A differenza dei fascisti che dominano senza governare, ché non hanno cultura cioè passato, quindi non hanno futuro da proporre a nessuno, posso affermare serenamente che solo io ho un futuro, perché non solo ho un passato, ma un passato da raccontare e, alla faccia del fascismo televisivo imperante, che sta dissolvendo ciò che resta di tutto, lo racconterò ai miliardi di persone potenziali che popolano il web, luogo per niente virtuale in cui si incontrano persone reali, dotate di storia, cioè di memoria del passato, impegnate come sono a dire con parole vere ciò che vi è, ciò che vale per noi, chi noi siamo.

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A dispetto delle derive del tempo, tuttavia, ho scritto all’inizio di ogni anno scolastico un Progetto didattico – non una programmazione didattica – che, di fatto, poi, era un Progetto educativo: il mio documento si è sempre aperto con l’enunciazione di una serie di Principi ideali, seguiti da Principi educativi e poi da Principi didattici. Ho fatto Educazione, non Italiano e Latino. Ho aiutato i ragazzi, dal primo liceo, a pensare: li ho incoraggiati ogni giorno a pensare, a credere nei loro pensieri. Ho fatto comprendere loro il nesso esistente tra pensiero e linguaggio, l’interazione esistente tra pensiero e linguaggio; tra esperienze di pensiero ed esperienze di linguaggio. Abbiamo fatto esperienze di pensiero ed esperienze di linguaggio, di ogni genere. Ho fatto linguistica testuale, filosofia del linguaggio, semiotica, estetica, retorica stilistica, teoria della letteratura. Ho approfondito le poetiche degli Autori maggiori. Abbiamo esplorato il rapporto tra biografia ed opera, tra arte e società, tra letteratura e società, tra letteratura e potere. Abbiamo cercato la genesi delle opere letterarie. Ci siamo chiesti ogni volta perché mai l’uomo avesse inventato l’epica, il teatro, la lirica, la tragedia…  Ho utilizzato i migliori manuali di Letteratura, da Ceserani a Luperini. Recentemente, ho adottato un manuale di Letteratura latina che finalmente cura analiticamente i rapporti esistenti tra Letteratura greca e Letteratura latina. Abbiamo studiato peccati capitali e nuovi vizi, il problema del male e della sua origine. Abbiamo letto Dante con gli occhi di uomini di questo tempo inquieto. Abbiamo ascolato musica insieme e ci siamo scambiati libri, film Cd musicali. Abbiamo utilizzato la posta elettronica, il forum e il blog, la chat e il wiki, per non perderci mai di vista. Siamo andati a teatro insieme. Abbiamo studiato il Museo, la Biblioteca, l’Archivio. Ma soprattutto abbiamo studiato l’emozione estetica, a partire dalla classificazione – che ci ha impegnato per i cinque anni del Corso – di passioni, sentimenti, emozioni. Li abbiamo distinti accuratamente, perché non facessero confusione, come accade spesso perfino ai filosofi. Abbiamo dato un nome a tutti gli stati d’animo dei personaggi. Abbiamo dato un nome a tutte le cose. Abbiamo letto insieme. Abbiamo discusso, polemizzzato, cantato, ballato insieme. Ho chiuso la mia carriera, portando i ragazzi di I liceo a visitare la sinagoga di Roma, la moschea di Roma, un monastero di clausura di Arpino, dove siamo rimasti una giornata intera a discutere con le monache di silenzio e di solitudine. Ho lavorato per un anno intero con i ragazzi di III liceo su Accidia-Malinconia-Depressione, per aiutarli a non fare confusione tra il peccato, il sentimento, la malattia. Ho dedicato l’ultima lezione di Letteratura a Caducità di Freud, per lasciare il messaggio del sentimento che dobbiamo provare di fronte alla caducità delle cose.

Posso dire, con questo, che stampa e televisione, non hanno mai parlato di Scuola: non sanno proprio cosa sia quello che fanno gli insegnanti. Quello che precede è stata la mia risposta al condizionamento fascista imperante.

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