CAMMINARSI DENTRO (185): Un provvisorio confine

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Domenica, 27 marzo 2011

Stupefatto del mondo mi giunse un’età / che tiravo dei pugni nell’aria e piangevo da solo. / Ascoltare i discorsi di uomini e donne / non sapendo rispondere, è poca allegria. / Ma anche questa è passata: non sono più solo / e, se non so rispondere, so farne a meno. / Ho trovato compagni trovando me stesso.

Ho scoperto che, prima di nascere, sono vissuto / sempre in uomini saldi, signori di sé, / e nessuno sapeva rispondere e tutti erano calmi.

[…]

CESARE PAVESE, Antenati

L’apertura famosa del testo di Pavese, che ha accompagnato gran parte della mia vita, ricordandomi di tanto in tanto gli astratti furori di cui è fatta l’adolescenza e parte grande della giovinezza, mi fa sentire quanto sia patetico attendersi comprensione da chi non è mai stato capace di esprimerla, e dunque di provarla.

E’ ovvio che ognuno di noi pretende di essere compreso – cioè compreso in modo esatto – da tutti coloro con i quali condivide qualche cosa, a qualsiasi titolo. In presenza di istanze unilaterali, non c’è molto da dire: l’indifferenza, lasciar precipitare nell’indifferenza il significato di chi non ha tempo né voglia – né sale in zucca per poterlo fare – né sapienza di cuore per poter sentire – di attraversare la strada che ci separa è la miglior cosa che si possa fare, che vuol dire, poi, non disprezzo o noncuranza o neghittoso rinchiudersi nella propria gabbia dorata. Non c’è alcun primato da rivendicare: piuttosto, prevale il rammarico senza rimpianto per chi non ha saputo vedere un provvisorio confine là dove oggi sembra che ci sia solo deserto e lande desolate, strade impercorribili, intransitabili utopie…

La cosa più divertente è assistere allo spettacolo ricorrente del silenzio di chi detiene un potere che riesce ad esercitare in un solo modo: imponendo la regola per cui se sbagli paghi con l’ostracismo.

Resta sempre vero che l’amore non è cieco, anzi insegna a vedere (U.Curi). Con quali occhiali bisognerà suggerire di sporgersi verso di noi a chi non vede quel provvisorio confine?

La rozzezza è la prassi della stupidità (R.Musil). Con quali occhiali suggeriremo a chi non vuol vedere di volgersi verso il basso a scrutare la linea sottile che nessuno ha disegnato sul terreno e che sta lì da sempre a dividere e a unire, ai confini dello sguardo?

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