CAMMINARSI DENTRO (186): Scendere e togliere

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Domenica, 27 marzo 2011

La tentazione ricorrente di rinunciare all’amore, di proclamare tale rinuncia, senza temere il ridicolo, è facile da vincere. A cosa poi bisognerà rinunciare, se se ne lamenta l’assenza? E non parlo qui dell’amore ‘coniugale’, che per sua natura è fatto di “alti e bassi”, come sento dire spesso. Conosco più di una persona che è pronta a rispondere alla domanda: “Come va?” con un “Discretamente, pur tra alti e bassi”. Queste ultime parole sono anche accompagnate da movimenti delle mani che spiegano ‘alto’ e ‘basso’, ma si tratta sempre di piccoli movimenti, approntati alla bisogna, per dare l’idea di piccole perturbazioni insignificanti: il basso è sempre bilanciato dall’alto. Così, l’equilibrio non è compromesso. Non so cosa questo significhi, ma fa sempre piacere sentir dire che le cose vanno bene!

In verità, in questo periodo preferisco chi è pronto a dirmi: “Va tutto bene, tranne il fatto che ho un cancro”. Mi sembra più umano. Più veritiero. Ammesso che la verità serva a qualcosa, quando poi non abbiamo altro da dirci. Non sto parlando della compagnia di qualche amico lontano affetto da gravi malattie, che pure esiste e con cui è facile parlare della vita. Più modestamente alludo al commercio quotidiano con chi per vocazione o per mestiere dovrebbe intendersi di sentimenti e di affetti e di emozioni e di stati d’animo e di corpo…

L’uso di parole come anima e cuore e sensibilità e affetto non è cosa da raccomandare solo agli esperti. Questi, anzi, comprendono di meno. Pretendono di conoscere ogni più riposto angolo dell’anima, come se ne avessero fatto esperienza. Come se avessero incontrato nella loro breve vita persone e situazioni e momenti di ogni genere! Come se tutto avessero visto e udito! Gli adulti educatori, però, dovrebbero intendersene. Dovrebbero sentire e sceverare e avvertire in sé il riverbero dei moti altrui. Dovrebbero avere una nozione esatta della Compassione, della medesimezza umana, come chiamava Gramsci il comune sentire, il riconoscimento dell’umanità che è negli altri, come è in noi.

Alla fine, cosa resta di scienza ed esperienza se non siamo in grado di assolvere gli altri dalle loro mancanze e imprudenze?

Una giovane Educatrice con la quale ho condiviso recentemente un importante incontro di Educatori, a conclusione di un ragionamento comune, che ci stava portando a condividere l’idea che crescere è scendere, aggiungeva: “… e togliere”. Scendere e togliere. Non siamo andati avanti in quella direzione, ma io spero che lei vorrà farci ancora dono delle sue riflessioni, aiutandoci a comprendere a fondo fin dove si sia spinta con la riflessione personale.

Quello che c’è da togliere, forse, per cominciare, è il superfluo, l’effimero, l’occasionale, ciò che vale come verità di un solo giorno… Se imparassimo a raggiungere e superare, a toccare da vicino le corde personali, forse riusciremmo a perdonare a tutti coloro che diciamo di amare l’imprudenza di un giorno, per non far precipitare nell’insignificanza il valore di un’esistenza a cui abbiamo sempre detto di aver assegnato un valore.

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