La misura e la grazia

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Martedì 20 febbraio 2018

Lasciar accadere le cose. Non intervenire. Certo, non per neghittosità né per vile prudenza. Piuttosto, per far sì che il corso naturale delle cose dia i suoi esiti, e per non lasciare sulle cose stesse i segni del proprio passaggio. Ogni indecidibile richiede una scelta. Spesso, il miglior modo di agire è non agire.

Lasciar morire una relazione che non porti da nessuna parte, facendola languire, condannandola all’inedia. Osservare da vicino l’ostinazione e la ripetizione sempre uguale delle ragioni personali di chi non sia minimamente disposto ad aprirsi, per non soffrire il dolore dell’incontro. Concedere la vittoria alla stupidità e all’improntitudine di chi non sia minimamente avvertito della nostra presenza e non comprenda le nostre miti ragioni. Questo e altro ancora è Ascesi, esercizio che dà i suoi frutti nella pazienza, nel silenzio, nella solitudine.

L’epifania della grazia è dono insperato che tocca in sorte a chi abbia trovato la misura del suo fare. Sorte, non destino. Risultato dei processi di liberazione e di emancipazione della coscienza dai ceppi dell’illusione e dai capricci del desiderio. La grazia come arrendevolezza della fantasia è carattere degli imperdonabili, che aspirano all’esattezza del sentire e alla perfezione dei gesti. Le pause dell’anima conducono alle soglie dell’invisibile, ché sono il distillato del pensiero del cuore. Solo i cuori pensanti, infatti, sono disposti a fare dono della loro anima perfino a chi, poi, non sia pronto a fare altrettanto!

Più che il crepuscolo della sera, si addice a questi viandanti la luce del mattino. Custodi del passaggio, essi prediligono la soglia, come i poeti, i più arrischianti. Allo stesso modo, danno il nome alla ferita. Si inoltrano nei territori della follia, abitati dall’amore, per tornare più saggi di prima, meno disposti a dare credito a tutte le sirene. Sempre pronti a gettare ponti verso l’altro, scrutano guardinghi l’altra sponda, per spiare le mosse di chi, a sua volta, dovrà mostrare l’intenzione di percorrere il ponte che porta fino a noi.

La scepsi sulle umane cose è metodo, attesa paziente della risposta, silenziosa attitudine alla conoscenza personale, esercizio solitario dell’ascolto delle ragioni dell’altro. La misura è raggiunta grazie alla giusta attesa, alla qualità dell’accordo raggiunto, alla capacità di accettare e di dire Sì all’esistenza dell’altro.

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