PENSARE E SCRIVERE (0): Oltre l’idea della scrittura come ‘dono di natura’. Insegnare a scrivere.

Negli anni di liceo vigeva una norma ‘etica’: la scrittura è un dono (di natura). Chi sa scrivere non ha nessun merito: scrive bene da sempre. C’è del genio in chi sa scrivere. Va da sé che non si può insegnare ciò che appartiene alle profondità insondabili dell’anima dei pochi che lo sanno fare.
In quarta ginnasio avevamo un’insegnante di Lettere preparatissima che naturalmente non ci disse mai nulla a proposito della scrittura: non c’era nulla da insegnare! Per di più, aveva individuato cinque di noi – in una classe di trenta, circa – che riteneva dotati in Italiano (non ricordo bene in che senso), che elesse a suoi interlocutori: avrebbe parlato solo con loro! Non l’ho mai vista arrossire quando diceva una simile enormità. D’altra parte, era questa la ‘cultura’ del tempo (anno scolastico 1963-1964).

Nel 1968 d.C., per l’esattezza nell’anno accademico 1967-1968, quando approdai a Roma, procedendo a piedi verso La sapienza, mi fermai smarrito la prima volta davanti alle vetrine delle librerie universitarie. Ce n’era una, in particolare, interamente dedicata alla Linguistica generale e all’Estetica.
Corsi subito a cercare nella Biblioteca dell’Istituto di Filosofia, al quarto piano della Facoltà di Lettere e Filosofia, testi che mi aiutassero a conoscere Linguistica generale ed Estetica. Scoprii, così, il Corso di linguistica generale di Ferdinand de Saussure, curato da Tullio De Mauro, che poi ‘divenne’ mio professore di Filosofia del linguaggio. Scoprii I formalisti russi nella Piccola Biblioteca Einaudi, anche grazie al fatto che un’assistente della Cattedra di Estetica di nome Renata Mecchia teneva un Seminario su quell’opera. Grazie ai formalisti russi, Emilio Garroni ‘divenne’ il mio professore di Estetica e il primo dei miei maestri, in ordine di tempo. Ancora oggi egli resta il mio punto di riferimento maggiore per tutte le questioni di Estetica. Non dirò di Vittorio Somenzi (Filosofia della Scienza) né di Guido Calogero (Filosofia teoretica), che mi fecero scoprire il pensiero scientifico e il dialogo. Cominciava così il mio Sessantotto.
Il guadagno più grande, sicuramente, mi venne in quegli anni dagli studi di Linguistica generale, di Filosofia del linguaggio, di Semiotica, di Storia della lingua italiana.
Mentre Tullio Gregory, dalla Cattedra di Storia della Filosofia medievale, mi introduceva alle delizie della metafisica della luce, io seguivo contemporaneamente tutte le lezioni che era umanamente possibile seguire, Movimento studentesco permettendo. Quando la Facoltà era occupata, mi rifugiavo al quarto piano, nella Biblioteca dell’Istituto di Filosofia, o correvo alla Biblioteca Alessandrina a cercare libri. Mi facevo portare intere annate delle riviste più belle e qualche libro da toccare, perché non credevo ai miei occhi: non avevo mai visto tanti libri, ma soprattutto non avevo mai toccato il fondo della mia ignoranza. Così, mi ammalai. Solo dopo il matrimonio, a distanza di qualche anno dopo la laurea, riemersi dallo stato di prostrazione in cui caddi quando mi resi conto del fatto che negli anni di Liceo non mi era stato insegnato nulla. Dovetti trovare da solo il bandolo della matassa. In quegli anni c’era una febbre che prendeva tutti: il desiderio di conoscere, di studiare arte, letteratura, linguaggio ci spingeva ad andare al cinema o a teatro tutti i giorni, dopo aver seguito qualche Conferenza, tra una manifestazione politica e l’altra.
Su de Saussure e Hjelmslev, su Tinyanov e Schlovskij scoprii che cos’è lingua, che cos’è segno, cos’è testo, cos’è linguaggio poetico. Sentii parlare dell’arte come procedimento. Mi chiesi la prima volta quale fosse il rapporto tra Filosofia del linguaggio e Semiotica, tra Estetica e Semiotica. Per anni mi interrogai intorno alle questioni sollevate da Eco con la sua querelle con Garroni intorno allo statuto dell’Estetica, se dovesse essere intesa come disciplina ‘letteraria’ o ‘scientifica’. Eco imboccò la strada della Scienza. Solo più tardi, riconobbe a Garroni che aveva ragione. La mia testa era piena di Segno, Significante, Significato, Semantica, Significazione, Arbitrarietà del segno. Fu quest’ultima scoperta, in de Saussure, a sconvolgere le mie poche certezze.

Mi avevano ‘insegnato’ che saper scrivere è dono di natura. Come ‘collocare’ nella mia piccola Enciclopedia mentale la relazione tra significante e significato così come mi si mostrava, grazie a de Saussure? Ma, soprattutto, quali erano le attività della mente, quando essa fosse impegnata ad elaborare testi e discorsi? Per questa via, scoprii le neuroscienze. Mi misi a seguire le lezioni di Psicologia dell’età evolutiva, a cui seguirono Psicologia generale e Psichiatria. In quegli anni, era possibile dare due esami di altra Facoltà. Io sostenni per due annualità consecutive l’esame di Psichiatria. Per tre anni, Psicologia dell’età evolutiva. Per due anni, Psicologia generale. Cercavo i fondamenti delle discipline e le relazioni tra le discipline. Cercavo di costruire il mio Piano di studi, perché non ce n’era uno già pronto. Dalla Facoltà non venivano suggerimenti di nessun genere. I quattro anni del corso di laurea in Filosofia furono dedicati da me all’orientamento: cercai una ratio studiorum, come si diceva nel Seicento di Cartesio. Avevo già rinunciato all’idea che la Teologia potesse essere la regina delle scienze. I miei amici mi parlavano della Fisica e della Matematica. Seguivamo insieme alcune Cattedre: Amaldi, Lombardo Radice… In quegli anni, Broglio progettava nella Facoltà di Ingegneria il primo missile italiano. De Maria analizzava frammenti di rocce lunari, ricevuti in dono dagli Americani.  Come non ammalarsi? Riuscire a seguire i progressi della conoscenza, senza avere nozione alcuna di ciò che significa conoscere fu la cosa più dolorosa.
Al secondo anno chiesi la tesi di laurea alla Cattedra di Psichiatria! E mi fu concessa! Suggerii il tema: interpretazione analitica e illuminazione fenomenologica, sui metodi della psicoanalisi e della psichiatria, come mi si paravano davanti in quegli anni. Il Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, che doveva concedere una sorta di nulla osta, mi negò il permesso, perché non avevo titoli, come disse lui, cioè conoscenze di Medicina. Ripiegai sui rapporti tra Filosofia e Scienza, in particolare tra Filosofia e Psichiatria. Mi dedicai allo studio del pensiero di Sartre, con il sostegno di Husserl, per far emergere il contributo dato dal pensiero di Husserl, Heidegger, Sartre, Jaspers alla Psichiatria umanistica del XX secolo. Ancora oggi, corro lungo la linea che unisce Filosofia e Psichiatria, Letteratura e Psichiatria, mentori Umberto Galimberti ed Eugenio Borgna.

Già durante gli anni universitari frequentavo il Sindacato-Scuola. In quell’ambiente conobbi il Movimento di Cooperazione Educativa, il Giscel, il CIDI. Si discuteva di Barbiana, della Lettera a una professoressa, di Non tacere!. Facevamo il doposcuola gratuito ai figli degli operai. Vedemmo nascere l’Educazione Linguistica Democratica.

Imparai a distinguere tra linguaggio verbale e linguaggio non verbale. I maestri erano Vigotskij e Piaget, Jakobson e Carroll. Avviai lo studio distintamente delle quattro abilità umane: ascoltare, parlare, leggere, scrivere. Ancora oggi, studio le loro interazioni.

Già negli anni dell’Università, pensavo a quello che avrei detto ai miei alunni: studiavo per loro, traducevo le teorie in scelte educative e didattiche. Quando salii per la prima volta sulla Cattedra di Italiano e Latino, in una terza liceo, al Liceo Classico di Isernia, ero pronto. Dal quel lontano 1973 non ho più smesso di indagare i modi in cui la mente umana organizza le conoscenze e mente e cuore dialogano per tradurre pensieri e moti dell’anima in forme. L’approdo alto è rappresentato dalla Didattica costruttivista, che concepisce per intero l’insegnamento dalla parte dello studente, perché i contenuti disciplinari debbono essere organizzati dallo studente nella personale enciclopedia personale. Dall’apprendimento mnemonico della vecchia scuola all’apprendimento significativo, perché sia attivata efficacemente la memoria a lungo termine.

Testi (scritti) e discorsi (orali) sono oggetto di analisi. Conosciamo i segreti che sono alla base della loro costruzione. Sappiamo ‘scomporli’, ma soprattutto sappiamo come ‘produrli’. Dunque, sappiamo insegnare ai ragazzi a comprendere i testi e i discorsi, ad analizzarli, ad interpretarli, a trasformarli, a produrli.

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