IMPARARE A LEGGERE (2) – I dintorni del testo. Prime considerazioni su ciò che accompagna l’icona, a partire dalla lettura dei testi linguistici.

 

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Sotto una foto o un’immagine fantastica, un titolo che ne restituisca sinteticamente o estesamente il significato è paratesto, è soglia. Sta di fatto che un’immagine da sola non sempre parla alla nostra fantasia. D’altra parte, se il suo senso si imponesse ad una prima ‘lettura’ anche al passante distratto, non presenterebbe il carico di senso che per lo più la contraddistingue. In quanto icona, poi, più che testo, per sua natura propone una sovradeterminazione del senso più grande dei testi linguistici. Basti, per questo, l’esempio di un’immagine che voglia restituire il contenuto di un sogno. Ci spingeremo fino a dire che nemmeno un titolo può bastare per introdurre al senso.


Se consideriamo, ad esempio, il progetto editoriale di RVM rearviewmirrormagazine, comprenderemo in parte il postulato del mio discorso. Per cominciare, le Edizioni Postcart si presentano significativamente come «Letteratura per immagini». Magazine quadrimestrale dedicato alla fotografia documentaria, «al centro del suo obiettivo, RVM mette il reportage fotogiornalistico, esplorato, anche al di là della sua grammatica classica, nelle sue forme più diverse, meno rassicuranti, più inattese (e meno inclini alle esigenze dell’editoria mainstream), purché resti fedele alla sua vocazione di raccontare storie: il progetto RVM nasce infatti dalla visione di una fotografia intesa come linguaggio (con la sua sintassi e la sua attitudine a farsi narrazione), come esercizio di un punto di vista (quindi scelta di cosa e come guadare) e come criterio di conoscenza del mondo in cui viviamo, chiave d’accesso a luoghi imprevisti, a vite sconosciute, a strade non percorse. Fin dalla cover, RVM segue il filo del racconto: scegliendo uno scatto che, da solo, è già una storia. Ma è anche una porta: socchiusa su un lavoro fotografico più ampio, che non sarà però nelle pagine della rivista, ma condurrà i lettori direttamente sul sito www.rearviewmirror.it, che ricalca la struttura del magazine offrendo un ulteriore spazio di visione.»

Insomma, siamo oltre il singolo scatto: quest’ultimo è già racconto, ma rimanda anche ad altro, a un servizio fotografico, un reportage, un portfolio, una retrospettiva, un sito web. Ci fermeremo, allora, al singolo scatto? troveremo in esso il senso, tutto il senso, l’intera poetica dell’autore, senza indagare su di lui e sulla sua poetica programmatica? basterà la poetica in atto? Ci interessa di RVM il modo in cui i testi linguistici accompagnano le immagini.

Io credo che anche la fotografia artistica debba essere accompagnata da testo. Se non nella forma della didascalia – non basterà mai -, almeno nella forma della illustrazione del contenuto e della genesi dell’opera. Confesso una difficoltà: spesso non comprendo quello che pure cade sotto i miei occhi. Questa circostanza già dice che la semplice-presenza non basta a dire il senso, cioè il significato generale di un testo, di un’icona, di un’esistenza. La stessa immagine, poi, acquisterà un particolare significato, a seconda dell’occhio che si sarà posato sulla cosa prima che diventasse oggetto di rappresentazione: da essa è indispensabile risalire allo sguardo che se la rappresenta per noi.

Una poetica dello sguardo non ci condurrà soltanto al cuore di un’opera: potremmo assumerla come cifra di un’esistenza; potremmo ricondurre ad essa tutta la nostra esistenza, l’intero nostro sentire, l’ordine del cuore, quando la profondità del nostro sentire riesca ad esprimere esattamente tutti i lati della nostra esperienza. Il nostro Erleben come il nostro Erfahren è tessitura e trama, relazione tra biografia e opera, incontro con se stessi e con gli altri. E solo un autentico sentire e un vivo spirito di libertà ci diranno fino a che punto avremo compreso.

Imparare a leggere è questo progredire della nostra esperienza nel dialogo con gli altri e con le cose del mondo: la condizione di lector in fabula fa del lettore non uno spettatore passivo nel processo semiosico; il lavoro di attribuzione del senso (Sinngebung) è forse ciò che c’è di più tipicamente umano. Il nostro linguaggio e la nostra cultura ci aiutano ad interpretare il mondo. Senza di essi non potremmo né agire né patire.

La comprensione dei testi letterari e delle opere visuali passa attraverso la spiegazione dei loro significati e la ricerca del senso generale dell’opera, grazie al ricorso alla poetica dell’autore. Da quest’ultima, intesa come categoria estetica e strumento critico, mi sono fatto guidare lungo tutta la mia esperienza di insegnante di Letteratura. Come italianista, non ho potuto fare a meno di fornire agli allievi tutti gli strumenti di cui occorre disporre per decodificare testi e linguaggi, per comunicare e per esprimere idee e sentimenti.

 

 



In un volume di 400 pagine del 1987, intitolato Soglie. I dintorni del testo (1989, edizione Einaudi), Gérard Genette analizza «il supporto delle produzioni, verbali e non verbali, che lo contornano, lo presentano, fanno di esso un “libro”. Sono queste produzioni – prefazioni, dediche, copertina, scelte tipografiche, ecc. – ciò che costituisce il paratesto, l’area di transizione tra il dentro e il fuori, la soglia, insomma, del testo letterario. Quest’apparato, troppo visibile per essere percepito, agisce in parte all’insaputa del destinatario. E tuttavia il suo apporto è spesso rilevante: come leggeremmo l’Ulysses se non si intitolasse Ulysses? Lo studio di Genette, il primo dedicato al complesso di una pratica tanto rilevante nel mondo delle lettere, vuole essere un’introduzione, ma al contempo un’esortazione a considerare più da vicino ciò che regola nascostamente le nostre letture. Una soglia, del resto, può essere solo attraversata».

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Con la parola poetica si vogliono essenzialmente indicare la consapevolezza critica che il poeta ha della propria natura artistica, il suo ideale estetico, il suo programma, i modi secondo i quali si propone di costruire.

Si distinguono di solito una poetica programmatica e una poetica in atto, ma la parola ha il suo vero valore nella fusione dei due significati, come intenzione che si fa modo di costruzione.

Ad ogni modo, come non si identifica con la capacità autocritica dell’artista nell’atto creativo la chiarezza teorica circa l’essenza dell’arte, che egli può avere anche al di fuori di quell’atto, così non si identifica la poetica con la reale poesia.

Si possono dare molti equivalenti della parola poetica nel campo dell’esperienza artistica: è la poesia di un poeta vista come ars, lo sfondo culturale animato dalle preferenze personali del poeta, è il meccanismo inerente al fare poetico, è la psicologia del poeta tradotta in termini letterari, è il poeta trasformato in maestro, quella certa maniera storicizzabile e suscettibile di formare scuola, che si trova sublimata nell’attuazione personale dell’artista, è un gusto che ha radice in un’ispirazione naturale e che si complica su se stesso.

Poetica è anche scelta e imposizione di contenuto, tanto più violenta quanto più esteriore è la forza nativa del poeta (per esempio, i futuristi).

Poetica si distingue poi agevolmente da estetica in quanto che, mentre questa teorizza, la poetica ha un valore personale di esperienza e di gusto nativo. L’estetica cerca di dare un rigore scientifico al gusto, la poetica invece vuole concretare la vita attiva di una fantasia, la costruzione di un mondo poetico.

(da WALTER BINNI, La poetica del decadentismo, SANSONI 1936)

 

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