CAMMINARSI DENTRO (152): La saggezza dell’amore (3) – Sotto il segno di Epimeteo

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Ho sempre indicato ai miei alunni e ai ragazzi tossicodipendenti del Centro di ascolto – ma anche ai ragazzi-adulti che ho incontrato – un altro amore. Chiamerò così il diverso sguardo, l’atteggiamento prudente nelle cose d’amore che porta a ponderare le scelte, a basare ogni scelta sulla conoscenza dell’altro. Si potrebbe applicare alla vita di tutte le persone che crescono il principio che alimenta l’esistenza di Prometeo – colui che prima pensa e poi agisce -, da opporre all’esistenza di Epimeteo – colui che prima agisce e poi pensa -.

I ragazzi sono portati a dire subito . L’amore è troppo bello alla loro età per aspettare! Ma aspettare, in questo caso, non è attesa d’amore, di un amore che non c’è, l’amore sognato e desiderato… Più semplicemente – ma so quanto pesi per loro questo ‘semplicemente’! -, si tratta di rinviare il più possibile ogni scelta, accontentandosi di stare accanto alla persona alla quale il cuore si apre, per spiare il suo sentire, per misurare il grado della sensibilità, per registrare ogni accordo, tutte le volte che il cuore si incontra con il cuore…

Dopo tutto, c’è da combattere la fretta, il timore di perdere l’occasione che ci viene regalata dalla sorte – lei ha scelto me, proprio me! dovrei farla attendere? a che pro, se il cielo è d’accordo…? -, imparando a riconoscere i segni dell’amore nell’altro: benevolenza, gentilezza, rispetto, attenzione…

Possiamo anche vivere nell’intervallo che precede una dichiarazione dei sentimenti e l’impegno che ne deriva. Come dice la canzone: meglio respirarla piano la felicità… aspettandoti.

Noi crediamo che la felicità sia ora. Non comprendiamo che è un nunc, un ‘istante eterno’, l’eterna ripetizione dell’incanto dell’amore quello che ci viene incontro con lo sguardo innamorato di una donna che ci dice tutte le volte che si ripeterà l’incontro del cuore con il cuore.

Ma l’incontro poi, il vero incontro, è dato dalla tonalità dell’incontro. La verità è il tono di un incontro. Perché si dia incontro, allora, basterà incontrarsi, ritrovarsi l’uno di fronte all’altra? E basterà che i cuori battano l’uno per l’altro, perché l’amore duri? Non vogliamo l’amore che dura? E cosa occorre perché l’amore duri? Di nuovo, non dipenderà da noi, dalla nostra capacità di durare? dal desiderio? dalla parola? dalla consapevolezza, poi, che amore non è discorso dispiegato, certezza di sé e dell’altro, come se si potesse dare scienza del cuore?

Da una parte, serve sapere che il sentimento che proviamo è vero amore, amore per quella persona lì, per quello che è, non per i significati che sovrapponiamo alla sua esistenza!

Dall’altra, serve sapere che il sentimento che proviamo non si lascia dire compiutamente. Il fondo di indicibile che lo caratterizza sarà sempre tale!

Quanto sapere ancora si richiede perché il cuore non smetta di cercare e di trovare le ragioni che lo riporteranno sempre a quella sorgente che non è l’incanto della bellezza dell’altro ma le proprie ragioni, l’indomita capacità di dire alle ragioni che porteranno l’altro a trovare a sua volta in sé sempre di nuovo le indispensabili ragioni del cuore che sole fanno durare l’amore!

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Sotto il segno di Epimeteo

Tutti conoscono la storia di Prometeo, colui che prima pensa e poi agisce, pochi conoscono la storia di suo fratello Epimeteo, colui che prima agisce e poi pensa. Eppure i loro destini sono inscindibili.

«Vi fu un’epoca in cui gli Dei esistevano, ma gli esseri mortali non esistevano ancora. Quando arrivò il tempo destinato alla loro nascita, gli Dei li formarono sotto la terra, con terra, fuoco e tutto ciò che si mescola con questi elementi. Volendo portarli poi alla luce, gli Dei ordinarono a Prometeo e ad Epimeteo di ornare quegli esseri e di distribuire tra di loro le capacità secondo quanto a ciascuno di loro spettava. Epimeteo ottenne da Prometeo di poter procedere da solo alla distribuzione. L’imprudente distribuì tutto tra gli animali, in modo che l’uomo restò completamente indifeso e nudo. Così il provvido Prometeo non poté fare a meno di rubare il fuoco e le arti di Efesto e di Pallade Atena dal loro tempio comune, per regalarli al genere umano. Da allora l’uomo è capace di vivere, ma Prometeo – per quanto la colpa fosse di Epimeteo – fu punito per la sua azione. E fu punito, come era giusto, tramite Epimeteo.

– Figlio di Giapeto, tu che sai più di tutti gli altri, tu ti rallegravi di aver rubato il fuoco e di avermi ingannato; ma ciò sarà a danno tuo e degli uomini futuri. Essi infatti riceveranno da me, in cambio del fuoco, una maledizione cui gioiranno, circondando d’amore ciò che costituirà la loro disgrazia.

Così parlò il padre degli Dei e degli uomini e rise. Egli ordinò subito a Efesto di mescolare un po’ di terra e acqua, d’introdurvi voce umana e forza e di creare una bella e desiderabile fanciulla simile nell’aspetto alle Dee immortali. Ad Atena fu ordinato di insegnarle l’arte di tessere, lavoro femminile, all’aurea Afrodite di circonfondere la testa della fanciulla di fascino amoroso e di desideri struggenti. A Ermes Zeus ordinò di dotare la fanciulla di una spudoratezza da cagna e di fallacità. Tutti obbedirono all’ordine del sovrano. Il celebre artefice fece con la terra l’immagine di una pudica fanciulla. Pallade Atena la ornò di una cintura e di una veste. Le Cariti e Peito le misero al collo una collana d’oro. Le Ore inghirlandarono la fanciulla con fiori primaverili. Ermes le pose nel petto la menzogna, le lusinghe e l’inganno. Il messaggero degli Dei le conferì voce e chiamò la donna Pandora, poiché tutti gli Olimpici l’avevano creata come un dono, a danno degli uomini mangiatori di pane.
Quando fu pronta l’insidia minacciosa, contro la quale non vi è difesa, il padre inviò il celebre e veloce messaggero da Epimeteo, con il dono. Questi non si preoccupò di ciò che Prometeo una volta gli aveva detto, cioè di non accettare alcun regalo da parte di Zeus, bensì di rimandargli tutto, affinché nessun male derivasse ai mortali. Prese il dono e solo in seguito si accorse del male. Prima il genere umano era vissuto sulla terra senza alcun male, senza fatiche e malattie che dovessero portare alla morte gli uomini. Ora invece la donna levò il coperchio del grosso vaso e lasciò che si diffondesse dappertutto il suo contenuto, a triste scapito degli uomini. Soltanto Elpis, la Speranza, rimase dentro il carcere indistruttibile,  sotto l’orlo del vaso, e non volò fuori. Davanti a lei la donna chiuse il coperchio, secondo la volontà di Zeus. Il resto dello sciame, innumerevole e triste, circola da allora dappertutto tra gli uomini e la terra è piena di male e pieno di male è il mare. Le malattie colpiscono gli uomini di giorno, vengono inattese di notte, fatali e mute, poiché Zeus astuto negò loro la voce. Non vi è dunque alcuna via per ingannare la perspicacia di Zeus.
 La storia della creazione della donna continuava raccontando come la giovane creatura, di fresco venuta al mondo, avesse levato per curiosità il coperchio di un recipiente del tipo di quei grandi vasi di terracotta in cui noi ancora oggi conserviamo l’olio e il frumento, lasciando libero lo sciame dei mali che vi erano rinchiusi. Con questi mali, e precisamente con le malattie, venne nel mondo anche la morte e così si compì la distinzione tra gli uomini e gli Dei immortali» (K.KERENYI, Gli dei e gli eroi della Grecia, Garzanti, Milano, 1982).

In sintesi, Prometeo aiuta l’uomo a vivere, strappando i segreti agli Dei, Epimeteo porta all’umanità la morte abbandonandosi spensieratamente all’Eros.

Prometeo è l’eroe che lotta per strappare agli Dei il controllo sul destino umano, Epimeteo è l’eroe che vuole godere i doni degli Dei a costo di ammalarsi e morire.

Prometeo non teme il destino, le catene e la morte, Epimeteo si accorge che deve morire quando è ormai troppo tardi.

Entrambi amano la vita ma Prometeo la abbraccia, Epimeteo ne è abbracciato.

Prometeo contempla la vita e la può «salvare», Epimeteo s’abbandona alla vita e può «perderla».

Prometeo aiuta a «vivere», Epimeteo deve essere aiutato a «morire».

Con queste parole di FRANCESCO CAMPIONE più di venti anni fa veniva inaugurata la pubblicazione di una rivista, ZETA. RICERCHE E DOCUMENTI SULLA MORTE E SUL MORIRE, di cui abbiamo voluto riproporre per intero l’Editoriale del primo numero. Le ragioni ideali che la animavano sono ancora le nostre. 
Non siamo riusciti a trovare la sede della Redazione, per chiedere il permesso di riprodurre quel testo esemplare.
 Ma proseguiamo nella sua lettura.

Ecco perché una rivista che si propone, come quella che oggi vede la luce, di occuparsi e preoccuparsi dell’uomo che muore per mano di Eros (cioè, perché prima agisce e poi pensa, perché agisce istintivamente, perché vuole vivere pienamente la sua naturalità), deve essere intitolata a Epimeteo piuttosto che a Prometeo, diversamente da come tendono a pensare coloro che vivono al di sopra di Eros  (ci si riferisce qui alla frequente mancata integrazione della dimensione erotico-biologico-pulsionale nel modo di intendere l’esistenza che si basi su principi ideali o etici).

In altre parole, questo nostro lavoro è dedicato a Epimeteo, cioè all’uomo-eroe che, abbandonandosi alla vita, proprio per ciò la consuma e continuamente «muore», all’uomo che nel tentativo di essere pienamente se stesso scopre continuamente di non esserlo mai del tutto, perché è stanco, malato, spossessato, bisognoso, bramoso del nuovo, inebetito, incosciente, drogato, incompleto, vuoto, solo, falso, ferito, umiliato, moribondo, angosciato.

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