CAMMINARSI DENTRO (172): Ciò che è più vero per noi

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Domenica, 16 gennaio 2011

Quando dico, con le parole di Hofmannsthal, che «la verità è il tono di un incontro» mi riferisco a un accesso alla verità che è cosa ben diversa dalle certezze della scienza, di tutte le scienze della natura. La distinzione operata da filosofi come Severino tra certezza e verità ci viene qui in aiuto, per immaginare lo spazio lasciato inesplorato da qualche secolo ormai dalle scienze esatte. Tutto ciò che cade al di fuori del fenomenico e che non si tradurrà mai in legge scientifica, perché non ha dignità paragonabile alle cose della natura, pure ha un proprio modo di consistere.

Il fatto che nel campo della storia, della società, della psiche si siano affermati metodi scientifici propri delle discipline che assumono per oggetto i fatti storici, le trasformazioni sociali, le vicissitudini della psiche non è sufficiente per poter dire che l’accesso alla verità sia privilegio e prerogativa esclusiva dei tecnici delle scienze umane e delle neuroscienze.

Quando ci alziamo al mattino e andiamo incontro alla vita con il nostro carico di bene e di male, non cerchiamo l’esattezza da applicare alla realtà dell’anima. Non abbiamo alcunché da misurare, anche se misuriamo i passi che ci separano dalla felicità ad ogni piè sospinto. Non facciamo altro che spiare le mosse delle persone che amiamo, per ricavarne qualche istruzione in più su come condurci nel corso della nostra giornata: sappiamo quanto sia necessario inchinarci di fronte a loro per sollevarci fino a loro, per meritare il loro amore. Ci hanno insegnato che l’amore è capriccioso e che non guarda ai meriti e agli sforzi che la ragione compie per affermare un principio o una ragione: metà cielo metà terra, tutto ciò che lo riguarda ci costringe a guardare ora alla terra, ora al cielo. Siamo costretti a dire di noi quel che c’è di cielo a farci parlare, ma più spesso ci ritroviamo a doverci misurare con i vincoli della terra, quando non intervengono a decidere di noi le forze sotterranee che non conoscono se non la propria legge. Come misurare lo smarrimento e il turbamento che ci prendono in mezzo a equivoci e fraintendimenti? E cosa dire dei risvegli che ci accade di provare, quando, anche dopo anni e anni ci accorgiamo di non conoscere la persona che credevamo di conoscere bene, perché, magari, riusciamo solo ora a vedere quello che pure vedevamo ma che non potevamo semplicemente accettare, presi ancora dal vecchio timore di aprire del tutto gli occhi e fare arido sguardo del benevolo cipiglio dell’amore, che non altro sapeva rimproverare se non una distrazione e una disattenzione, mai un insanabile contrasto che pure si accampa sulla scena e ci divide tragicamente dalle ragioni del nostro cuore?

Noi sappiamo schiantarci, come dice il poeta, ma le mani non le teniamo dietro la schiena, per andare orgogliosi come un tempo verso la collina, in compagnia di altri maschi paghi di sé e delle astratte ragioni di genere di un tempo. Per consistere qui, presso un altro cuore, occorre una scienza sottile come i grani di sabbia che scendono inesorabili nella clessidra, a scandire un tempo che non ci appartiene: noi possiamo soltanto dire sì, andando incontro al nostro destino, che è fatto sì a volte di un vano errare e di un altrettanto vano recalcitrare, ma che ci chiama al compito del tessitore, che solo conosce le vie del cuore. Non importa se il cuore spesso sconcorda con un altro cuore: l’arte vera dell’amore è trovare l’accordo, riuscire ad intonare il canto che valga a richiamare l’altra voce, per fare un canto per voce sola. Di tutte le scienze che noi conosciamo questa è la più vera, perché richiede che siamo attenti all’entrata degli strumenti dell’orchestra e alla risposta che essi ricevono e all’incontro delle voci tutte che fanno armonia e incanto, per suonare ancora la canzone che risuonerà esatta, appropriata, evocando l’unica voce che possa dire di sì a sua volta, tra le mille voci che potrebbero intonare il loro canto. Quando sentiamo quella voce, anche noi siamo in armonia. Questo solo chiediamo alla vita, che quella voce non cessi mai di incontrare la nostra, alla nostra corrispondere. Questo siamo disposti a chiamare miracolo. A questo soltanto siamo disposti a credere. Questo soltanto avrà sempre il potere di calmare il nostro respiro, che sarà affannato perché ancora anelante e sospeso. Questo solo ci sembrerà vero.

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